I cambiamenti climatici pesano come un macigno sui campi, riducendo la quantità di prodotti agricoli a disposizione sulle tavole degli italiani e facendo schizzare i prezzi alle stelle. In occasione della Giornata mondiale dell’alimentazione, il Wwf racconta in un report come nel 2021 ci sia stato un aumento del 65%, rispetto agli anni precedenti, di nubifragi, alluvioni, trombe d’aria, grandinate e ondate di calore e come tutto questo abbia penalizzato diverse colture. Il miele ha perso il 95% della produzione rispetto al 2020, l’olio l’80% in alcune regioni del centro-nord, mentre una pera su quattro è andata perduta a causa di eventi climatici estremi che, complessivamente, sono costati al comparto agricolo circa 14 miliardi di euro negli ultimi dieci anni. Il report del WWF evidenzia come nella regione mediterranea il riscaldamento superi del 20% l’incremento medio globale della temperatura, ponendo il nostro Paese in una posizione di particolare vulnerabilità rispetto agli effetti del cambiamento climatico. Ma è l’intero pianeta che sta affrontando la più grave emergenza alimentare del 21° secolo. La combinazione letale di Covid-19, conflitti e cambiamenti climatici, infatti, ha portato fame e malnutrizione a livelli mai raggiunti prima. Ogni 15 secondi un bambino che non arriva neppure a cinque anni muore anche a causa della malnutrizione. Lo racconta Save the Children, avviando la nuova campagna di raccolta fondi ‘Emergenza fame’: “Nel mondo oltre 40 milioni di persone sono a livelli di insicurezza alimentare di crisi o di emergenza. La situazione è in rapido peggioramento in 16 paesi in Africa, quattro in America Centrale e tre in Asia, mentre sono circa 5,7 milioni i bambini sotto i cinque anni che sono sull’orlo della fame, oltre il 50% in più rispetto al 2019”.

L’ANNO NERO DELL’ORTOFRUTTA ITALIANA – Nel decennio dedicato dalle Nazioni Unite alla nutrizione (2016-2025), il 2021 è celebrato dalla Fao come l’anno internazionale della frutta. Ma questa questa ricorrenza coincide con quello che viene definito da molti “l’anno nero dell’ortofrutta italiana”. Nel 2021 si sono verificati circa 1500 eventi estremi. Gli effetti nei campi sono stati devastanti: la frutta ha subìto un calo medio del 27%, con picchi di -69% come quello registrato dalle pere, ma gravi sono stati i danni nella produzione di pesche (-48%), riso (-10% per un cereale di cui l’Italia copre da sola metà della produzione europea) e olio che, in certe regioni del centro-nord, ha registrato una riduzione fino all’80%, in un anno che doveva segnare invece una produzione in crescita rispetto al 2020. Per quanto riguarda il vino, solo Sicilia e Campania hanno aumentato la produzione: le situazioni più difficili in Toscana (-25%), Lombardia (-20%), Umbria e Abruzzo (-18%), Emilia Romagna, Sardegna e Molise (-15%), almeno stando ai dati forniti da Assoenologi, Ismea e Unione italiana vini relativi alle prime stime della vendemmia 2021. In alcune zone, tuttavia, la produzione si è pressoché dimezzata. Un dato che comunque non intacca il primato italiano a livello mondiale (record agevolato anche dalle enormi difficoltà della Francia, che ha perso il 29% della produzione). Situazione non semplice anche per altre colture. Nel Lazio si stima che nel 2021, a causa delle gelate tardive, sia andato perduto in media il 70% della produzione di nocciole. Anche le filiere di trasformazione sono state messe in crisi: il caldo torrido di questa estate ha accelerato la maturazione del pomodoro, superando la capacità logistica per raccoglierlo, trasportarlo e lavorarlo: il 20% del raccolto è andato così perduto. Il sistema alimentare è talmente condizionato dal cambiamento climatico che al Sud si sta già assistendo a un fenomeno di ‘tropicalizzazione’ che apre la possibilità alla sostituzione di coltivazioni di prodotti tradizionali con coltivazioni domestiche di frutti esotici, trend già in atto e che si stima sia raddoppiato negli ultimi tre anni.

UN BRACCIO DI FERRO TRA CLIMA E AGRICOLTURA – Ma tra clima e agricoltura è un braccio di ferro: produzione, distribuzione e consumo di cibo sono a loro volta cause dirette del cambiamento climatico. Basti pensare che il sistema alimentare contribuisce per circa il 37% alle emissioni di gas serra, di cui ben un terzo è legato agli sprechi alimentari, fenomeno in costante crescita. “La crisi climatica, con i suoi molteplici effetti, sta minacciando la capacità produttiva dei sistemi agricoli a livello globale, compromettendo la loro capacità di nutrire adeguatamente l’umanità. È necessario affrontare questo cambiamento in maniera coerente e coordinata” spiega Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del WWF Italia, secondo cui “i nostri comportamenti a tavola e fuori sono determinanti, non possiamo più ignorare il nostro ruolo all’interno del sistema globale”.

L’EMERGENZA FAME NEL MONDO – E proprio in questa prospettiva, analizzando il problema dell’alimentazione alla luce dei cambiamenti climatici, del Covid-19 e delle guerre, Save the Children parte proprio dai primi. Ma spesso si tratta di cause legate tra loro. Dieci delle 13 peggiori crisi alimentari del mondo sono causate da conflitti e il 60% delle persone (e l’80% dei bambini) che soffrono la fame nel mondo vive in paesi in guerra. Ma la maggior parte di questi conflitti è causata da controversie su cibo, acqua o sulle risorse necessarie per produrli. Oltre 2 milioni di bambini muoiono ogni anno anche a causa della malnutrizione e, anche a causa della pandemia, si stima che entro pochi mesi altri 2,6 milioni di bambini saranno colpiti dalla malnutrizione cronica e circa 9,3 milioni vivranno i terribili effetti della malnutrizione acuta. “Il peggioramento previsto è così rapido e ampio che è come se in pochi mesi tutti i bambini italiani al di sotto dei cinque anni fossero colpiti dalla più grave forma di malnutrizione” spiega Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children. Tra gli epicentri dell’emergenza fame la regione del Sahel, la Somalia, l’Etiopia, l’Afghanistan, la Siria, lo Yemen e l’India.

CLIMA, CATASTROFI E MIGRANTI CLIMATICI – Oltre l’80% delle persone che si trovano in una condizione di insicurezza alimentare, povertà o che abitano in aree con conflitti in corso, vivono anche in paesi dove sono estremamente frequenti catastrofi naturali. Quasi 2 miliardi di persone, poco meno di un quarto della popolazione mondiale, vivono in aree che soffrono di carenza idrica e si prevede che questo numero crescerà fino a raggiungere circa la metà della popolazione mondiale entro il 2030. Sono 710 milioni i minori (in 45 Paesi) a più alto rischio di subire l’impatto del cambiamento climatico. Tutto questo mentre cresce il numero di migranti ambientali, tanto che secondo l’ultimo Rapporto Growndshell della Banca Mondiale, 216 milioni di persone nel mondo entro il 2050 saranno costrette a lasciare le proprie case a causa del cambiamento climatico.

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