“L’Italia è responsabile della morte di mio padre, mia figlia e mio nipote. Non possono prendere anche Eitan”. Ester Coen Peleg, nonna materna del piccolo sopravvissuto alla strage del Mottarone, sfogandosi con i giornalisti al termine dell’udienza a Tel Aviv per discutere il destino del bimbo, rapito lo scorso 12 settembre con una sorta di blitz. “Cosa mi è rimasto, lo capite?”, ha aggiunto la donna criticando la decisione della giudice di non ammetterla al dibattimento in aula. “Sapete perchè sono fuori dall’aula? Perché una donna giudice in Israele ha detto che, siccome non era ammesso al console italiano di entrare in aula, ha negato il permesso anche a me. Io sono la nonna”, ha sottolineato la donna che è indagata insieme all’ex marito dalla procura di Pavia per il sequestrio del bambino. La donna ha poi aggiunto che lo stesso “è successo anche in Italia nel momento in cui io ero a lutto per mia figlia e non mi hanno dato possibilità di esprimermi”. La donna ha anche avuto un alterco con uno degli avvocati dei Biran, il ramo paterno. “Io sono la nonna, siamo una famiglia in lutto. Abbiamo perso tre generazioni e adesso voi state distruggendo l’immagine anche di mia figlia“. Il confronto è avvenuto fuori dall’aula. Le udienze riprenderanno sera alla fine del riposo ebraico. Gli avvocati di entrambe le parti, al termine della sessione di oggi, non hanno voluto rilasciare alcun commento. L’udienza proseguirà anche domenica.

La giudice Iris Ilotovich Segal dovrà stabilire se il caso di Eitan rientra nelle fattispecie previste dalla Convenzione dell’Aja sulla sottrazione dei minori, firmata sia da Italia sia da Israele. Una strada intrapresa dalla zia paterna Aya Biran Nirko, affidataria secondo la magistratura italiana della tutela del bambino, che si è rivolta al Tribunale di Tel Aviv dopo che Eitan è stato portato senza consenso in Israele dal nonno materno Shmuel Peleg.

Lo scorso 11 settembre, invece di restituire il bambino alla zia Aya a Pavia, Shmuel Peleg lo fece uscire dal territorio nazionale in direzione della Svizzera da dove poi con un aereo privato lo portò a Tel Aviv. Una mossa difesa dalla famiglia Peleg secondo cui non “c’erano altre scelte” in nome del “bene” di Eitan. E il nonno Shmuel Peleg, in una intervista ai media, spiegò di aver agito così visto che aveva “perso la fiducia nella magistratura” italiana. Una affermazione che già allora sembrò adombrare una delle possibili tesi di parte a favore della permanenza definitiva di Eitan in Israele. A fronte dei fatti, Aya Biran Nirko rivolse al Tribunale un’immediata istanza per il rientro in Italia del piccolo. Nell’udienza di apertura dello scorso 23 settembre – a 4 mesi esatti dalla tragedia della funivia – la giudice israeliana ha favorito una intesa “temporanea” tra i due rami familiari (Biran e Peleg) in base alla quale Eitan nella sua routine quotidiana ha passato, in attesa della decisione definitiva, tre giorni a settimana alternativamente con la zia Aya e con il nonno Shmuel Peleg, la cui figlia Gali – sorella della mamma del bambino – ha annunciato di volerne chiedere l’adozione. L’accordo – hanno spiegato gli avvocati di entrambe le parti chiedendo al tempo stesso il silenzio dei media – si è basato sulla volontà di mantenere “la privacy del bambino, che in questo momento ha bisogno di tranquillità” e di cui vanno protette “sicurezza e integrità”. Finora – hanno fatto sapere ora avvocati dei Biran in Italia – il percorso è proseguito, pur “con qualche aggiustamento che non ne ha modificato l’impostazione”.

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