Non sorride Ivano Bordon quando arriva: è veneto, poche parole e soprattutto pochi salamelecchi, sguardo attento, che quando hai passato una vita a dover pensare a dove tirassero i più grandi attaccanti del mondo non può essere altrimenti. Vien da sorridere a chi lo vede arrivare, però, perché con lui arriva l’eco di radioline sincronizzate alle 15, della sigla di 90°Minuto, di figurine scambiate tra i banchi di scuola e incollate con gli occhi luccicanti a casa. Il fisico da portiere ce l’ha ancora, l’aria di calciatore di quegli anni ancora di più…e pure di campione del mondo, due volte: “No, tre volte campione del mondo – corregge – nel 1982 da giocatore, nel 2006 da allenatore dei portieri e poi nel 1973 al mondiale militare, che non va dimenticato: la fase finale l’abbiamo giocata in Congo, mica facile vincere. Ed era una nazionale forte, c’ero io, c’era Lele Oriali, c’era Ciccio Graziani“. Qualcuno dice infatti che la squadra che diventò campione del mondo nel 1982 nacque proprio lì, sotto la leva: “Un periodo che tutti considerano brutto – dice Bordon – che però mi è molto caro”.

I suoi racconti oggi sono in un libro autobiografico In presa alta, scritto con Jacopo Della Palma, ed è una scelta curiosa: oggi chiunque scrive autobiografie, Bordon, che di certo non va dietro alle mode, ha deciso di fare altrettanto. “La mia vita è stata sempre nel calcio: da giocatore prima e da allenatore poi, ma il calcio è cambiato e io ho immaginato di scattare una fotografia della mia vita da consegnare ai più giovani per raccontare di un calcio diverso, di sacrifici fatti per arrivare in alto, di umiltà”. Insomma, di un calcio nato per strada: “Oh sì: oggi chi ci gioca più per strada? Io ho iniziato a giocare lì: c’erano poche macchine e tanti ragazzini che si divertivano. Poi arrivava l’oratorio e così via. Il professionismo arrivava che nemmeno te lo immaginavi: certo, davi il massimo, ma non pensavi di fare di una passione un mestiere. Quanto manca la strada al calcio di oggi? Tantissimo: oggi c’è tutta la trafila da quando i bimbi sono piccoli, con gli allenatori che già danno lezioni di tattica… si impara subito a fare una diagonale ma si perdono tante cose. Non si marca più a uomo, e si vede nel calcio di oggi. E guardate i portieri: gli si chiede prima di cominciare l’azione, di impostare. Sì, il portiere è il ruolo che più è cambiato negli anni. Chi mi piace oggi? Meret, anche se è stato sfortunato e sta perdendo delle occasioni. Migliore tra Zoff e Buffon? Impossibile: Zoff migliore dei miei anni, Buffon dell’era moderna, in due tipi di calcio completamente diversi. Ma non dimenticherei Angelo Peruzzi: pure lui un fuoriclasse in porta”.

Dalla strada alla Juventina Marghera, poi le giovanili dell’Inter, dove resta per 14 anni diventando icona della società nerazzurra, vincendo due scudetti, uno giovanissimo nel ’71, l’altro nel 1980. Una vita all’Inter, con partite e amicizie memorabili: “Col Borussia Monchengladbach chi se la scorda? (nel ’71, ottavi di Coppa Campioni, giovanissimo sostituì Vieri e parò tutto al ritorno in Germania) e purtroppo quella col Real Madrid, quando un mio errore fece segnare Gallego. Ma la squadra del 1979/’80 è sempre nel mio cuore: andiamo ancora a cena col piacere di stare insieme, e abbiamo un gruppo Whatsapp per essere sempre in contatto: sono tutti amici. Il più amico? Oriali. La più grande litigata? Non litigavo: facevo capire ciò che non mi stava bene senza esasperare le cose”. E Bellugi: “Eh, un amico Mauro. avevamo anche casa assieme: da giovani condividevamo casa a Milano“. Difficile immaginare oggi due calciatori che condividono una casa.

E poi i campioni dell’82: “Si capiva avremmo vinto: anche se il girone era andato male. C’erano segnali o episodi che lo dicevano: Bearzot che non toglie Paolo Rossi nonostante la pressione della stampa, il secondo girone che avrebbe dovuto vederci fatti a pezzi e invece battemmo Brasile e Argentina. Idem nel 2006: c’era talmente tanta consapevolezza che già durante il girone si guardava l’ipotetico cammino da fare almeno fino alle semifinali. Due vittorie indimenticabili, direi epiche”. Dai pali ad allenare chi va tra i pali, prima all’Udinese, poi seguendo sempre Marcello Lippi, dalla Juve all’Inter alla nazionale, ma non in Cina: “No, lì erano tutti senza mogli, ho ringraziato, ma ho preferito restare qui”. Figura cruciale, la moglie Elena, nella vita di Ivano: “Siamo insieme da 47 anni: mi ha aiutato molto. Anche le vite dei calciatori hanno momenti difficili e lei mi è stata accanto, e forse il non aver avuto figli ci ha unito ancora di più”. Due mondiali, anzi tre, icona dell’Inter, e solo un rimpianto: “Non aver vinto una coppa europea: ci sono andato vicino giovanissimo, ma abbiamo perso contro l’Ajax“. L’intervista è finita: nel salottino dell’hotel di Benevento, dove Bordon l’indomani presenterà il suo libro, compare la bella Elena. Stavolta Ivano sorride.

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