di Claudio Amicantonio*

La lacerante divisione che attraversa la società italiana tra coloro che sono favorevoli e coloro che sono contrari alla vaccinazione è solo apparente ed è inevitabilmente destinata ad evaporare. Le parti in causa, ferocemente contrapposte ad ogni livello, tendono a mettere in risalto ciò che le divide e fanno fatica a prendere coscienza dell’essenziale che le unisce. Presto o tardi non potrà non venire alla luce.

Sia chi sostiene che il vaccino è il solo strumento di salvezza, sia chi sostiene le più svariate e sfumate posizioni contrarie al vaccino concordano sullo scopo delle loro scelte. In entrambi i casi la scelta mira ad allontanare il dolore e, soprattutto, la morte. Gli uni si sentono maggiormente minacciati dalla malattia, gli altri – all’opposto – si sentono maggiormente minacciati dal rimedio alla malattia, dal vaccino appunto. Poco importa quali siano le motivazioni, a volte ragionevoli a volte irragionevoli, che spingono parti della nostra società ad avvertire la minaccia del vaccino e non della malattia. Ciò che importa davvero è che si rifiuta la vaccinazione per lo stesso identico motivo per cui la si abbraccia: evitare la sofferenza e la morte.

E proprio come due veicoli, che dovendo raggiungere la stessa meta mediante strade diverse sono destinati ad incontrarsi, così questa divisione è destinata a dileguarsi. Certo, la strada della scienza è in verità un’autostrada (seppur in costruzione e con pericoli sparsi qua e là per chi la percorre), mentre le altre strade sono secondarie e ormai datate, ma tutte portano alla stessa meta e tutte sono mosse dallo stesso carburante: la paura della morte e dal dolore che la annuncia.

Fuor di metafora, il disaccordo non verte sulla possibilità della scienza di essere l’unica in grado di far ottenere loro ciò che più di ogni altra cosa tutti bramano, ma solo sulla capacità di “questa” particolare configurazione della scienza, in questa situazione d’emergenza, di raggiungere lo scopo da tutti messo al centro delle proprie azioni.

Non è sempre stato così. Ancora oggi, seppur marginalmente, si avverte l’eco della grande guerra che si è combattuta tra le grandi forze della tradizione per stabilire quale dovesse essere il fine ultimo dell’agire – e dunque delle scelte – degli uomini: il comunismo, il capitalismo, il nazionalismo, il cristianesimo e le altre grandi religioni hanno guidato i popoli per secoli indicando loro una “verità” per la quale valeva la pena soffrire e morire. Gli uomini hanno sofferto e sono morti per queste “verità”. Ma la “verità” è morta. Non solo per la gran parte delle élite intellettuali degli ultimi due secoli, ma anche per le masse è ormai impensabile “credere” che esista una qualunque “verità assoluta” e dunque un qualunque “fine ultimo” sulla base del quale regolare le proprie azioni e le proprie scelte. Ancora più assurdo è pensare che si possa credere che si decida di soffrire e di morire per una ormai assurda “verità”.

La mera sopravvivenza e la mera autoconservazione è l’unico “valore” in cui i popoli si riconoscono: tener lontano il dolore e ancor di più tener lontana la morte. All’interno di questo quadro relativista, i popoli hanno preso e prendono sempre più coscienza che “il regno dei cieli” del cristianesimo, “la società perfetta” del comunismo, “il profitto” del capitalismo e via discorrendo, non hanno la stessa potenza che ha la scienza di far raggiungere loro l’unico e condiviso fine ultimo. Siamo su un piano inclinato che porta inevitabilmente al “paradiso della Tecnica”, al luogo nel quale tutto ciò che i popoli considerano negativo sarà sconfitto dalla potenza della scienza, pandemie comprese.

L’attuale discussione sulla vaccinazione rischia di far perdere di vista l’aspetto più importante della fase storica che stiamo vivendo: la scalata della scienza per divenire il centro del potere, poiché solo la scienza ha il potere di dare ai popoli ciò che essi stanno iniziando sempre più a mettere al centro del loro agire: tener lontani dolore e morte. Al di là dei vaccini e delle feroci polemiche ad essi collegate è questo il sentiero che la nostra civiltà sta velocemente imboccando.

Tutto risolto? Dobbiamo solo attendere che la scienza mostri la propria potenza e la propria futura onnipotenza? Niente affatto. Al contrario i “veri” problemi iniziano solo dopo aver preso coscienza dell’inevitabilità del dominio della scienza a cui la nostra civiltà è destinata. Quando questo scenario mostrerà sempre più il proprio volto, ognuno di noi sarà costretto a chiedersi se esiste e qual è il limite oltre il quale non è disposto ad andare per ottenere ciò che d’altronde vuole: allontanare il dolore e la morte.

**Professore al Liceo classico “G. d’Annunzio” di Pescara

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