di Emanuele Romano

Sto facendo dei lavori a casa, mi sembra una buona occasione per dare un nuovo assetto alla mia stanza: e sposta la scrivania, e sposta il pc, e sposta il letto, butta via la roba che non serve più… Senonché l’occhio mi cade su quei vecchi libri di scuola che mi sono sempre rifiutato di buttare, che però continuano a occupare un sacco di spazio e prendere polvere.

E lì mi incazzo, per ragioni che saranno presto chiare. Alcuni libri sono quelli di un liceo classico; il costo di ognuno arriva a superare anche i 30 €, ma in altre liste ne ho visti alcuni raggiungere i 40 €. Altri libri invece sono da università. Uno poi, il miglior libro destinato alla didattica su cui abbia mai studiato, l’ho pagato 22.50 €. Ma è solo un esempio: ci sono molti testi universitari di buon livello a prezzi per niente mostruosi.

La differenza tra i primi e i secondi? I primi sono libri usa-e-getta, perché vengono usati mediamente per due o tre anni, dopodiché non serviranno più né allo scolaro né a nessun altro: non trovi nessuno che se li prende nemmeno se li vuoi regalare; non ti servono più nemmeno per consultazione: le informazioni ivi contenute, più superficiali rispetto ad un testo universitario, sono facilmente reperibili su internet. I secondi sono libri che possono essere usati per sempre, e anche se non ti servono più e li vuoi rivendere non fai troppa fatica a trovare un acquirente. Perché valgono qualcosa, sempre.

Eppure tutti e due i tipi di libro vengono fabbricati allo stesso modo: come libri fatti per durare. E questo spiega il costo analogo. Più di una volta ho provato a parlarne con qualche professore di scuola, e mi è stato risposto sempre allo stesso modo: “Eh ma non ci puoi far niente se i libri di scuola hanno un ciclo di vita limitato… È vero che la storia e la matematica sono sempre le stesse, ma i programmi vengono aggiornati, e con essi i libri”. Giusto, mi va benissimo. Ma questo conferma la contraddizione cui ho accennato sopra: i libri di scuola sono usa-e-getta, ma vengono fabbricati (e fatti pagare!) come libri per durare.

Una soluzione potrebbe essere imporre “per legge” un tetto di prezzo piuttosto basso per i testi scolastici: ciò obbligherebbe le case editrici a fabbricare i libri in edizione economica; e se si rovinano o si spaginano facilmente non frega niente a nessuno: tanto non serviranno più. Ma si può fare ancora meglio. Io non sono affatto un sostenitore del formato digitale ad ogni costo (la bellezza di un libro cartaceo è quella che è!), tanto più che questo formato, adottato in contesti non opportuni, ha fatto solo disastri. E rischia di farne ancora in futuro.

Tuttavia, se c’è un contesto perfetto per fare esclusivamente uso del formato digitale, quello è proprio l’ambito scolastico: i libri costerebbero molto meno (a occhio direi che costerebbero non più di un terzo, o anche meno) e sarebbe molto più agevole aggiornarli, per la gioia di coloro a cui piace cambiare programmi e libri di testo ogni due per tre. Si potrebbe sostituire quel ridicolo “bonus cultura” (una mancetta che la metà più furba dei giovani aventi diritto ha usato per comprarsi console e videogiochi. L’altra metà non l’ha usato affatto) con un più economico ma più opportuno “bonus tablet” per tutti gli scolari. E si potrebbe cogliere l’occasione per educare questi ad un sano uso della tecnologia e di internet, insegnando loro come si usa quell’affare, magari con un’apposita ora settimanale (al posto dell’ora di religione sarebbe perfetto, ma forse chiedo troppo). E non sarebbe più nemmeno necessario portarsi dietro pesanti zaini, perché si avrebbero tutti i testi scolastici (e anche quelli non scolastici) nel palmo di una mano.

Mi si dirà: “Dalla scuola sei uscito da un bel pezzo, la cosa non ti riguarda più, perché ti prendi la briga di fare tante storie?”. Non so se siete mai stati a piazza Dante a Napoli verso metà settembre, poco prima delle aperture delle scuole. Piazza Dante è il “distretto” della compravendita di testi scolastici nuovi e usati, ci sono un sacco di librerie che praticano questo business. Ci sono stato più di una volta, ed ogni volta ho assistito allo stesso, triste, spettacolo: mandrie di genitori con pile di libri usati in mano, che si recano alle librerie con la speranza di recuperare quel 30% del prezzo di copertina per comprare libri per gli anni successivi. Per la maggior parte di quei libri si sentono dire “questo non va più bene”, “questo è stato cambiato”, “questo non è più aggiornato” e simili. A fine giornata, terminati gli affari, in piazza si trovano, qua e là, pile di libri abbandonate per terra o su qualche muretto. Libri usati per un paio di anni, poi buttati. Destinati alla spazzatura.

Ho sempre condannato quel tipo di comportamento: i libri non si buttano, mai. Ma adesso che mi ritrovo in questa situazione di imbarazzo con i miei vecchi testi, mi rendo conto che quei genitori, tutto sommato, avevano ragione: come ho già detto, quegli oggetti non servono più, né a loro, né a nessun altro. Mi ritrovo a dar loro ragione al punto da essere io stesso ad avere la tentazione di buttare i miei, cosa che reputavo impensabile fino a ieri. Potrei mettere qualche annuncio su internet: “regalo libri”, ma so già che non servirebbe a niente. Oppure potrei andare alla biblioteca comunale, per vedere se lì li vogliono; ma ho il forte sospetto che sarebbe altrettanto inutile. Metterli in un ripostiglio non avrebbe molto senso, anche lì farebbero la stessa cosa che fanno nella mia stanza: occupare spazio e prendere polvere.

Se proprio devo buttarli, forse potrei usarli per compiere un atto di protesta civile, una provocazione. Che ne so… abbandonarli in qualche piazza con un cartello “questi sono i soldi che buttate per mandare i vostri figli a scuola”. Magari non in una piazza qualsiasi, ma davanti al ministero della Pubblica istruzione. È questo che mi fa arrabbiare: al di là del fatto che io, come tutti gli altri, quei libri li ho pagati, al di là dello spreco, al di là dell’ingiustizia… un “sistema” che praticamente ti costringe a buttare i libri, il simbolo dell’istruzione e della cultura, per me è schifosamente sbagliato.

E voglio aggiungere un’ultima cosa. Io non sono uno di quelli che crede alle teorie del complotto, ma è fuori discussione che riguardo questa faccenda gli interessi economici ci sono. Lo spreco è nell’ordine delle centinaia di euro per ogni scolaro; moltiplicatelo per il numero di scolari e avrete una pallida idea del giro di affari che si consuma. Ogni anno, cinque anni per scolaro (sto contando solo le superiori, perché l’uso del tablet prima mi sembra discutibile… Anche se comunque si potrebbero imporre edizioni economiche come dicevo prima). E a farne le spese è sempre lo stesso: il povero genitore che vuole assicurare un futuro ai propri figli. Come al solito, “paga Pantalone”.

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