È finalmente arrivata in Parlamento, in ritardo sulla tabella di marcia, l’attesa relazione del ministero dell’Economia con i criteri per riformare il sistema della riscossione. La sorpresa è che a scrivere il documento, previsto dal decreto Sostegni bis a valle del condono delle vecchie cartelle fino a 5mila euro deciso in tutta fretta a marzo, non è stato il Tesoro: il titolare di via XX Settembre, Daniele Franco, ha fatto proprio e girato alle commissioni Bilancio e Finanze un testo preparato dall’Agenzia delle Entrate e dalla stessa agenzia della riscossione. Ma veniamo al merito. Per svuotare il magazzino da quasi 1.000 miliardi di crediti residui ed evitare nuovi ingorghi in futuro, gli enti guidati da Ernesto Maria Ruffini ipotizzano – e il ministro ci mette il timbro – la cancellazione automatica dei ruoli non riscossi dopo un certo numero di anni, con poche eccezioni. Mossa che, senza una svolta che metta il turbo alle procedure attuali, rischierebbe però di sfociare in un condono permanente. Tutto dipende, dunque, da come si concretizzerà l’attesa riforma. Il documento auspica, tra il resto, che l’ente della riscossione (di cui si chiede l’accorpamento nelle Entrate) venga dotato di strumenti più incisivi, a partire dall’accesso massivo all’Anagrafe dei conti correnti necessario per verificare quali tra i 18 milioni di contribuenti indebitati con il fisco hanno liquidità da pignorare.

“È un testo difensivo e poco efficace”, è il giudizio di Vincenzo Visco, ex ministro delle Finanze che le agenzie fiscali (negli anni Novanta) le ha create. “L’amministrazione fiscale punta evidentemente a a mettere al sicuro la dirigenza delle agenzie rispetto a carenze delle loro attività passate, tutelandosi da eventuali contestazioni della Corte dei Conti. Svuotare il magazzino è indispensabile, è chiaro. Ma bisognerebbe esser sicuri di non trascurare alcuna possibilità di recupero, anche nei casi in cui per esempio le società utilizzano l’interposizione fittizia per risultare nullatenenti. Il rischio è che nella fase di transizione ci sia di fatto un’altra sanatoria implicita“. Insomma “restano molti dubbi”, anche se il punto di caduta si conoscerà solo quando il governo tradurrà le proposte in una norma di legge. “Bisogna vedere se c’è la volontà“, chiosa Visco, che non è ottimista. “In generale, questo Paese le tasse non le vuole far pagare”. Come dimostra, secondo l’ex ministro, anche il documento delle Camere sulla riforma fiscale, in cui “tutte le questioni delicate sono ignorate ed emerge solo la volontà di ridurre le tasse a imprese e banche“.

La relazione scritta dalle agenzie e presentata da Franco si apre con l’usuale quadro dello sfacelo della riscossione, la fase più importante della “filiera” del fisco perché è quella in cui lo Stato e i vari enti creditori – sulla carta – dovrebbero riuscire a incassare i soldi dovuti. Ecco, il meccanismo non funziona: ci sono 18 milioni di contribuenti con un totale di 225 milioni di singoli crediti residui da riscuotere per un valore di 999 miliardi, il 34% dei quali relativo a carichi affidati prima del 2010. Si tratta per la stragrande maggioranza (175 milioni) di crediti minuscoli, sotto i 1000 euro, mentre i pochissimi che ammontano a più di 100mila euro (“solo” 875mila) valgono il 64% del maxi magazzino. Che l’Agenzia, come è noto, valuta per il 40% difficilmente recuperabile in quanto fa capo a soggetti deceduti, nullatenenti, imprese cessate, in concordato o in amministrazione straordinaria. Anche se dietro una “impresa nullatenente”, avverte Visco, spesso si nasconde un altro operatore economico che punta a sottrarsi al fisco. Su un altro 45% sono già state tentate azioni esecutive o cautelari, senza successo.

Come uscirne, considerato che il condono del governo ha appena scalfito la massa dei crediti e ogni anno vengono affidati all’all’Agenzia della Riscossione 29 milioni di nuovi crediti per un valore di 80 miliardi, riferibili a più di 8 milioni di contribuenti per la maggior parte “altamente recidivi“? Per quanto riguarda il magazzino pregresso (2000-2020), la proposta è quella di restituire al creditore i carichi inesigibili o con limitate possibilità di riscossione, stimati nel 34% del totale. Rispetto alla cifra rimasta, la prima ipotesi prevede la cancellazione automatica al 31 dicembre 2025 con l’esclusione dei crediti per i quali ci sono procedure esecutive in corso, accordi di ristrutturazione, transazione o dilazione oppure una riscossione parziale in seguito all’avvio di procedure di espropriazione forzata. Ferma restando la previsione di un certo numero di tentativi di recupero da mettere in atto tra 2022 e 2025 per un numero di debitori “adeguato alla capacità operativa” dell’agenzia. Seconda ipotesi: discarico automatico al 31 dicembre 2023 per i crediti affidati tra 2000 e 2010, al 31 dicembre 2025 per quelli risalenti al periodo 2011-2015 e al 31 dicembre 2026 per quelli affidati tra 2016 e 2020. Con le stesse esclusioni del caso precedente.

Fatta tabula rasa del pregresso, per i carichi affidati a partire da quest’anno si ipotizza che venga preparato un piano annuale di attività da svolgere “per un numero di debitori e di posizioni debitorie adeguato alla capacità operativa” dell’agente della riscossione: dunque, sembra di capire, una parte dei ruoli resterebbe necessariamente fuori. Poi, al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello dell’affidamento o dell’ultima azione con esiti positivi, dovrebbe scattare comunque la tagliola: discarico automatico delle quote non riscosse, con l’esclusione di quelle con procedure in corso, accordi di ristrutturazione in essere e le altre ipotesi viste prima. Il creditore potrebbe comunque riaffidare le somme in riscossione nel caso in cui “individui” per proprio conto redditi o ricchezze riferibili al debitore. C’è poi, nero su bianco, un punto evidentemente molto caro all’Agenzia, come sottolineato da Visco: “I giudizi di responsabilità amministrativa o contabile aventi ad oggetto l’attività di riscossione coattiva”, dice il documento, “potrebbero essere avviati soltanto in presenza di specifiche ipotesi di colpa grave, nonché in tutti i casi di dolo“.

Come corollario, il documento avverte che occorre un maggiore scambio di dati tra le due agenzie e in prospettiva è opportuno che l’ex Equitalia sia incorporata nell’Agenzia delle Entrate (di cui oggi è un ente strumentale) per superare il modello duale che è un unicum nel panorama europeo e dare al cittadino un unico interlocutore. Oltre a fissare finalmente come obiettivo diretto delle Entrate la riscossione, che dovrebbe essere appunto lo scopo fondamentale dell’amministrazione fiscale. Tra le altre richieste c’è, sacrosanta, quella di un aggiornamento delle norme sui pignoramenti, che oggi in buona parte non raggiungono alcun risultato perché colpiscono conti vuoti. L’Agenzia chiede dunque – Garante della privacy permettendo – di poter accedere in maniera massiva e almeno mensilmente all’Anagrafe dei rapporti finanziari per verificare in anticipo chi ha un conto corrente capiente, cosa che richiede una modifica della normativa attuale in base alla quale i dati vengono trasmessi solo a fini di controllo fiscale e comunque solo una volta all’anno. Si auspicano poi l’accesso alla banca dati delle fatture elettroniche e modifiche procedurali che vanno dalla durata dell’efficacia della notifica (oggi dopo un anno occorre inviare al debitore un nuovo avviso) al superamento dell’aggio in favore di uno stanziamento annuale nel bilancio dello Stato, fino alla revisione delle rateizzazioni impedendo per esempio la riammissione al beneficio per chi non ha pagato almeno 10 rate. Novità, queste, che sembrano andare nella direzione giusta. Mentre il discarico automatico suscita molti dubbi.

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