I metodi per imprimere una sonora accelerata alla giustizia spesso esistono, sono già stati votati e varati, ma si inceppano proprio sul punto di entrare in funzione. Mentre la politica parla di prescrizione, improcedibilità e altri meccanismi che dovrebbero velocizzare i processi, le norme già esistenti – concepite proprio per questo motivo – non vengono messe in pratica. E’ il caso dell’articolo 492-bis del codice di procedura civile che autorizza “la ricerca telematica dei beni da pignorare”, ma che di fatto non è mai entrato in funzione. Entrata in vigore dal 2014 e poi dimenticata, è una norma che contribuirebbe al rinnovamento e alla velocizzazione della macchina giudiziaria. Un po’ come poteva essere per il progetto tablet sperimentato al tribunale di Milano ma fermo al palo.

Giustizia con un click – Qui però non c’è da formare gli ufficiali giudiziari e dotarli di supporti informatici. Basterebbe che l’apparato giudiziario e la pubblica amministrazione si parlassero. La norma prevede, infatti, che il presidente del tribunale interessato possa autorizzare l’ufficiale giudiziario ad accedere alle banche dati della Pubblica amministrazione gestite dal ministero dell’Economia e delle Finanze, come l’Agenzia delle entrate, l’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, il pubblico registro automobilistico e nelle banche dati degli enti previdenziali per acquisire tutte le informazioni necessarie e individuare beni o crediti utili a saldare un debito. Una comunicazione dovuta tra diversi rami della Pubblica amministrazione, per rendere efficiente – per esempio – il recupero crediti, ma che è sempre rimasta solo sulla carta. Eppure, l’ufficiale giudiziario Giuseppe Marotta ha spiegato al fattoquotidiano.it di come questa norma rivoluzionerebbe il lavoro di chi le sentenze le mette in pratica: le fa, cioè, uscire da un’aula di tribunale per tradurle nella vita di tutti i giorni. Nella loro attività di congelamento di beni e crediti, gli ufficiali giudiziari oggi si recano all’abitazione del debitore per il pignoramento diretto di un bene o presso gli istituti di credito, “seguendo uno schema obsoleto – sottolinea Marotta – concepito nel 1942che dunque esclude totalmente l’uso di mezzi informatici. “Sono azioni da dopoguerra“. Senza considerare i costi di trasporto e custodia, che spesso superano il valore del bene stesso.

Follow the money. A piedi – “Oggi occorre seguire i capitali” sostiene. Ma anche tentando di inseguire i capitali, il processo attuale non è meno complesso: facendo quella che Marotta definisce una “pesca a strascico”, gli ufficiali giudiziari vagano per le banche o gli uffici postali in cerca di possibili conti del debitore. Non potendo accedere alle banche dati telematiche, infatti, i pubblici ufficiali non sanno a quali agenzie del territorio nazionale rivolgersi. Così tocca notificare i direttori di banche della zona interessata, che a sua volta dovranno poi comunicare entro dieci giorni se effettivamente il debitore ha un conto presso la loro sede o meno. Ciò non comporta soltanto la paralisi dei tempi della giustizia, ma anche una serie di ingenti costi per chi avvia la causa senza alcuna garanzia dell’effettivo recupero del credito. “Sotto questi aspetti il 492-bis è rivoluzionario – spiega Marotta – con un click si potrebbe identificare il conto e i possedimenti del debitore in Italia, verificarne il saldo e procedere al blocco così come già fa lo Stato per recuperare i propri di crediti”. Pratica invece negata ai cittadini “che comunque hanno ottenuto un decreto ingiuntivo, o una sentenza, emessa da un tribunale dello Stato, in nome del popolo italiano”. E dunque l’ufficiale giudiziario cerca di seguire i capitali, ma a piedi, senza alcun mezzo tecnologico.

Ma quali sono i tempi? Con il modus operandi attuale, l’iter per recuperare un credito richiede almeno un anno. Nel caso in cui ci sia una causa, allora “i tempi diventano biblici”, angosciando cittadini e imprese. Non sorprende, dunque, che le istituzioni europee o la Banca mondiale puntino il dito contro la lentezza della giustizia che in Italia scoraggia gli imprenditori. E non sorprende neanche che il rapporto della Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa (Cepej) collochi l’Italia tra gli ultimi per durata media dei processi. Con l’accesso all’anagrafe tributaria e alle altre banche dati della pubblica amministrazione il taglio dei tempi sarebbe netto, come anche quello dei costi per il cittadino. Non ci sarebbe più la necessità di redigere diversi atti di pignoramento da indirizzare ad altrettanti istituti di credito, e neanche di pagare le trasferte degli ufficiali giudiziari, riducendo il tutto ad una questione di giorni, settimane al massimo.

Stato dei lavori – La norma in questione, però, rinvia ad un successivo decreto attuativo l’individuazione dei casi, dei limiti e delle modalità di esercizio. Come si legge sul sito degli uffici giudiziari di Genova aggiornato a febbraio 2021, la norma è “attualmente in attesa che l’Agenzia per l’Italia digitale definisca gli standard di comunicazione e le regole tecniche cui le Pa devono conformarsi per mettere i dati a disposizione degli ufficiali giudiziari, ovvero che venga stipulata – sentito il Garante per la privacy – la convenzione finalizzata alla fruibilità informatica dei dati il creditore munito di titolo esecutivo su autorizzazione del presidente del Tribunale può rivolgersi direttamente ai gestori delle banche dati”. Se del decreto attuativo non si hanno maggiori informazioni, interpellato il Garante per la privacy è emerso che dal 2014 una prima interlocuzione è avvenuta solo nel 2020, poi interrotta, fino all’avvio – quest’anno – di una vera e propria istruttoria.

L’azione dei sindacati – Ad aprile 2019 il rapporto di un tavolo tecnico della federazione Confsal-Unsa coordinamento nazionale giustizia tra l’amministrazione e l’Unep, parlava di un “rallentamento dovuto a ritardi non pienamente giustificati” da parte dell’Agenzia delle entrate. Un rallentamento che sembrava però “in fase di superamento”. Ad ottobre dello stesso anno poi, le organizzazioni sindacali venivano a sapere da “fonte informale” dell’imminente entrata in funzione – in via sperimentale – del 492-bis in alcuni uffici Ufficio notificazioni, esecuzioni e protesti. Speranze, ancora una volta, disattese. Nella lettera alla ministra Marta Cartabia inviata a marzo 2021, poi rinnovata a maggio, con un’azione congiunta la Cgil Fp, la Cisl Fp e la Uil Pa sottolineavano come la norma, introdotta nel “lontanissimo 2005”, poi riformata nel 2014 con decreto-legge ed entrata in vigore a novembre dello stesso anno, attenda “da 16 anni una concreta applicazione”. Anche al precedente ministro della Giustizia, Bonafede, erano pervenute delle lettere che chiedevano delucidazioni sui tempi di applicazione della norma, “rimasta lettera morta“, ma che avrebbe dato “un enorme impulso al recupero di competitività della macchina giudiziaria con evidenti ricadute sul tessuto economico, appesantito dall’inefficienza del sistema del recupero crediti”. Secondo le organizzazioni sindacali, infatti, l’applicazione della norma sarebbe anche in grado di attrarre investitori esteri, attualmente scoraggiati da un processo di recupero del credito “farraginoso e inefficiente”.

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