“I Talebani sono a 9 chilometri dall’ingresso della città. Senza il supporto dei contingenti militari stranieri l’esercito e la polizia afghani non possono nulla contro la marcia inarrestabile degli Studenti Coranici. È solo questione di tempo. La mia lunga collaborazione con la cooperazione italiana mette a rischio la mia vita e quella della mia famiglia. Vi prego Italia, aiutateci, non dimenticateci dopo quanto fatto insieme”.

Jailani Rahgozar ha lavorato per almeno dieci di anni nella cooperazione internazionale, in particolare con il coordinamento dell’Aics, l’Agenzia governativa italiana, in Afghanistan. È stato un punto di riferimento a Herat, la seconda città del Paese asiatico, caposaldo occidentale lungo la rotta verso l’Iran. Fino al 2020 la città degli splendidi Minareti Musalla e della antica cittadella rimessa a nuovo anche grazie all’Italia, è rimasta al riparo dalle mire dei Talebani, grazie alla presenza, su tutti, del nostro contingente militare di base nei pressi dell’aeroporto.

Nel corso degli anni, con fatica, gli “studenti” sono riusciti a strappare al governo di Kabul la strategica provincia di Farah, a sud di Herat, lungo la ring road afghana che conduce a Lashkar Gah, Kandahar e quindi risalendo verso Ghani, la capitale e l’area di confine col Pakistan. Adesso dopo l’abbandono dell’Afghanistan, per alcuni frettoloso e senza sufficienti basi di sicurezza, da parte del contingente Isaf, Italia compresa, Herat è una preda succulenta e agevole al tempo stesso per i Talebani.

“Le strade realizzate anche dalla vostra cooperazione vengono fatte saltare e poi minate, i Talebani stanno cercando di bloccare ogni forma di comunicazione con l’esterno annientando internet. Trovare una connessione stabile è sempre più difficile – aggiunge Rahgozar e in effetti lo proviamo anche noi trovando grandi difficoltà a collegarci con lui -. Siamo circondati, presto entreranno anche a Herat, è un assedio e le conseguenze saranno durissime. I simpatizzanti dei terroristi, specie di etnia pashtun (Rahgozar è di etnia tagika e la sua lingua il farsi, ndr), da sempre contrari alla presenza degli occupanti stranieri, stanno ingrossando le fila nemiche. Tutti loro sanno chi sono, del mio lavoro per la cooperazione internazionale dal 2008-2009 all’anno scorso e quindi sono in pericolo, specie ora che tutti i contingenti stranieri se ne sono andati”.

E qui sta l’angoscia di un uomo da sempre fedele e operativo nei confronti della cooperazione italiana. Nel corso degli anni Rahgozar ha coordinato tantissimi progetti umanitari nella provincia di Herat collaborando con ong del calibro di Intersos, Cesvi e Gvc. Nel marzo del 2017 era all’opera con Gvc per un piano di rilancio della ruralità in alcuni villaggi poverissimi della provincia di Herat. Era stato lui a tenere le fila e i contatti tra le comunità e l’Aics.

Al tempo l’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo aveva un ufficio a Herat. Solo in quella fase gli italiani erano stati tenuti precauzionalmente nel compound all’interno della Green Zone di Kabul: “Era in corso una delle tante offensive talebane di primavera – spiega Rahgozar -, poi erano tornati. Grazie all’Italia siamo riusciti a cambiare molte cose qui, sforzi realizzati con pazienza e che adesso stanno per essere vanificati dall’abbandono dei contingenti internazionali. Ora ho paura, sono un bersaglio. L’Aics di Herat è gestito da alcuni afghani, a loro ho provato a chiedere aiuto, ma hanno risposto che per me, per la mia famiglia e per chi ha collaborato con l’Italia non si può fare nulla. Chiediamo soltanto un visto per lasciare l’Afghanistan, così come hanno fatto altre ambasciate. So di colleghi che hanno collaborato con la Germania e con Israele salvati e fatti espatriare. Mio padre è una persona molto religiosa; quando in passato gli avevo manifestato la possibilità di lasciare il Paese lui è sempre stato contrario. Adesso non la pensa più così e mi sta dicendo di mettermi in salvo prima che sia troppo tardi”.

Ormai i Talebani, forti dell’abbandono delle forze Isaf, hanno ripreso il controllo dell’Afghanistan, in particolare dei suoi confini: “Lasciare Herat e tentare l’ingresso in Iran è praticamente impossibile – conclude Rahgozar -. Fossi da solo correrei il rischio di un blitz oltre frontiera, ma con la famiglia, moglie e due figli piccoli, è un’opzione impossibile. L’unica soluzione per uscire dal Paese è con un visto valido per l’espatrio che ci consenta di salire su un aereo e andarcene. Questo però dipende soltanto dall’Italia”.

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