Un bolide da 700 cavalli da una parte, un hamburger di manzo da 200 grammi dall’altra. Trencentomila euro contro dodici, a listino. Questa è la storia di uno scontro tra Davide e Golia che poteva finire malissimo: vassoi, ketchup e patatine che volano dappertutto come nei film, ma anche veri posti di lavoro che saltano. Non si consuma in Borsa, nei dintorni di Piccadilly o a Dubai, ma nell’hinterland di Milano, e precisamente a Segrate. Qui da sei anni il ristoratore del “Lamburghino” serve piccoli hamburger a base di chianina, fassona e angus ma per via dell’insegna sono andati di traverso alla blasonata “Automobili Lamborghini”. L’azienda di auto di lusso ha mosso uno stuolo di avvocati e ha trascinato il titolare in tribunale accusandolo di concorrenza sleale e sfruttamento non autorizzato di un marchio industriale registrato.

Christian Rella si vede così recapitare diffide e richieste di danni per oltre 200mila euro, una richiesta tale – racconta – da comportare la chiusura del locale e il licenziamento dei sette dipendenti. Poco più di 30 anni, Rella spiega di aver commesso un’ingenuità nella scelta del nome che per lui continua a connotare il prodotto fatto di carne e formaggi filanti, non certo i bolidi destinati a impreziosire i garage di fortunati milionari in tutto il mondo. “Qui ci devi proprio arrivare”, spiega. “Capirei questo atteggiamento se avessi aperto una catena in Piazza Duomo, ma siamo alla periferia di Segrete e viviamo di una piccola, affezionata, clientela”. Il titolare dell’hamburgheria racconta che dal 2016 ha fatto il possibile per adeguarsi alle richieste dei legali dell’azienda di Sant’Agata Bolognese, cancellando ad esempio i tori che potevano evocare il marchio bolognese. Ma non è bastato. “Ogni volta mi contestano qualcosa di diverso: tolti i tori era il font dell’insegna, ora siamo alla fonetica del nome. Lo cambierei anche domani, ma a questo punto servirebbe a qualcosa?”. I legali di controparte, spiega l’avvocato Antonio Franchina, contestano un danno ormai provocato e vogliono un risarcimento in ogni caso”.

Nell’anno del Covid-19 la Lamborghini ha venduto 7.430 vetture in tutto il mondo segnando il suo secondo miglior risultato di sempre con un fatturato di 1,61 miliardi di euro. Il “Lamburghino” di Segrate è sopravvissuto solo convertendosi al delivery, riuscendo così a non lasciare a casa i suoi dipendenti. Potrebbe chiudere lo stesso ora, ma per effetto di un’altra causa: quella legale con la Lamborghini che, pur di tutelare il proprio marchio, non ha ritenuto eccessivo assimilare un’industria che sforna bolidi a un piccolo locale che sforna hamburger. Come nei film, sul finale arriva il colpo di scena con probabile lieto fine. Ilfattoquotidiano.it ha contattato la Lamborghini per chiedere se fosse mai disposta a fare marcia indietro. Dopo qualche giorno è arrivata la nota di risposta dell’azienda: “Lamborghini è disponibile a una risoluzione bonaria della vicenda che dovrà necessariamente includere, tra gli altri, l’immediata cessazione dell’utilizzo indebito del marchio. L’azienda ha il dovere di tutelare i propri segni distintivi anche al fine di evitare confusione sul mercato sulla provenienza di beni e servizi”. Il titolare dell’hamburgheria ha appreso la notizia con un sospiro di sollievo: “Se lo fanno davvero, se azzerano le richieste di danno, quell’insegna la cambio al volo. Basta che l’incubo finisca una volta per tutte e si possa continuare a lavorare”.

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