È stata presentata questa mattina in diretta su Rai 3 la relazione annuale al Parlamento del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, presieduto da Mauro Palma.

Lo straordinario lavoro del Garante, dal quale giorno dopo giorno chi opera in questo ambito è abituato a farsi accompagnare, si delinea ogni anno con organicità e compiutezza quando arriva il momento della relazione. Una parola, questa, che non rende conto fino in fondo di cosa fa il Garante nel riferire al Parlamento. Una relazione è una descrizione, una nota informativa di qualcosa che è accaduto o di un oggetto di studio. Ma il Garante non si limita a raccontare le carceri, i centri per migranti, le caserme o gli altri luoghi di privazione della libertà. Non si limita a elencare numeri e informazioni, a descrivere quantitativamente e qualitativamente il proprio oggetto di riferimento. Ha piuttosto rispetto a esso – non un oggetto qualsiasi, ma il luogo dove più si esercita la forza dell’autorità e dove più si mette alla prova lo stato di diritto – la capacità di proporne una lettura globale, di inquadrarlo nel complesso dell’organizzazione sociale, di proporne una linea di indirizzo, di chiamarci tutti a sentire la privazione della libertà come qualcosa che ci riguarda.

“Non posso tacere”, scrive Palma, “la drammaticità e la responsabilità di tutti noi relativamente al suicidio recente di un giovane straniero irregolare che, oggetto di violenta aggressione per strada, avvenuta forse proprio a causa della sua specifica fragilità, ha trovato nella risposta nostra, istituzionale, solo l’accento sulla sua posizione irregolare e il destino di una privazione della libertà, in un confinamento in un Centro per il rimpatrio in cui il rapporto tra la sua situazione individuale, anche sulla base di quanto subito, e la rilevanza della previsione normativa per la sua irregolarità è stato sproporzionatamente accentuato su quest’ultimo aspetto. Fino a non essere riusciti a evitare un tragico epilogo”.

Siamo tutti chiamati a farcene carico. Dalle nostre diverse prospettive e dalle nostre diverse posizioni, nessuno di noi ha impedito che si potesse affermare quella cultura implicita o esplicita che ha condotto alla morte di Moussa Balde, ragazzo di 23 anni proveniente dalla Guinea e impiccatosi il mese scorso nel Cpr di Torino, dove era stato messo in isolamento come unica risposta al brutale pestaggio a sprangate subìto a Ventimiglia da parte di tre uomini italiani sotto gli occhi di tutti in pieno centro.

Guardando all’area penale, il Garante racconta numeri alla mano la lunghezza delle pene inflitte e delle pene residue dei condannati detenuti nelle carceri italiane. Ben 1.212 persone sono state condannate a una pena inferiore a un anno, ben 7.118 a una pena inferiore a tre. Persone che potrebbero usufruire di una misura alternativa al carcere, il quale invece continua a essere visto come la sola risposta punitiva possibile per troppe situazioni. Anche su questo il Garante ci chiama in causa: “è un tema che chiama alla responsabilità anche il territorio perché il carcere da solo non può rispondere ad altre carenze” afferma.

Infatti “tali numeri danno una immagine plastica della fragilità sociale che connota gran parte della popolazione detenuta, perché indica coloro che non accedono a misure che il nostro ordinamento prevede, spesso anche perché privi di fissa dimora. Non solo, ma rendono soltanto enunciativa la finalità tendenziale alla rieducazione perché nessun progetto può essere attuato per periodi così brevi e spesso il tempo della detenzione diviene così soltanto tempo di vita sottratto, peraltro destinato a ripetersi sequenzialmente”.

Il carcere non è un mondo a sé, così come ovviamente non lo sono i centri per migranti e le altre aree di privazione della libertà. Là dove una pubblica autorità, che ci rappresenta tutti, tiene in custodia qualcuno, ecco che siamo chiamati a farcene carico, a contribuire a un modello di società inclusivo, rispettoso della dignità della persona, dove la privazione della libertà non sia mai cifra oscura ma sempre aperta al controllo sociale.

Il Garante ha un’idea chiara di cosa deve essere la pena e quale debba essere la sua finalità. Non si limita a descrivere, ma orienta il proprio lavoro verso una direzione. La stessa che ritroviamo nella Costituzione e nelle Convenzioni internazionali. Oggi l’ha raccontata al Parlamento con magistrale chiarezza. Il Parlamento può ancora dimostrare in tanti modi di saperlo ascoltare e di non cedere alle sirene più populiste ascoltate in questi anni. Auspichiamo davvero che lo faccia.

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