“Abbiamo fatto un lavoro fatto bene“. Poche parole scritte in chat e inviate a una persona a lui vicina da Danish Hasnain, lo zio 33enne di Saman Abbas, alimentano sempre più la pista che sia stato lui a fare sparire la giovane diciottenne pachistana della quale non si hanno notizie da ormai più di un mese. Il timore è che la ragazza sia stata uccisa dalla famiglia per essersi opposta a un matrimonio combinato e tra le ipotesi investigative c’è quella che sia stato proprio lo zio l’autore materiale del suo assassinio.

La Procura reggiana ha aperto un fascicolo per omicidio con, al momento, cinque indagati: i genitori, due cugini e lo zio. E proprio Hasnain è l’uomo che, insieme ai due cugini della giovane, è stato identificato nel video che rappresenta l’ultimo avvistamento della 18enne scomparsa. Ad aggravare la posizione della famiglia di Saman sono anche le parole che lei stessa ha scritto in chat al fidanzato, un connazionale non accettato dalla famiglia, riferendo quanto detto tra le mura di casa dalla madre che indicava l’uccisione come unica “soluzione” per una donna che non si attiene alle regole di vita pachistane. “Stavano parlando proprio di me”, ha scritto Saman al suo ragazzo che a sua volta, scrive la Gazzetta di Reggio, ha riferito il messaggio ai carabinieri.

Cinque indagati, quattro sono irreperibili – Intanto i cinque indagati restano tutti irreperibili, tranne il cugino 28enne Ikram Ijaz, arrestato domenica a Nimes, in Francia, mentre tentava di raggiungere alcuni parenti in Spagna. Ora si attende la sua estradizione. Lui, assieme a un altro cugino e allo zio Danish Hasnain, 33 anni, sono stati i primi indagati dopo essere comparsi nel primo video sospetto ripreso dalle stesse telecamere vicino alla cascina di famiglia, risalente al 29 aprile, in cui con due pale, un piede di porco, un secchio contenente un sacco azzurro, si dirigono verso la campagna. Per gli inquirenti in quel momento avrebbero preparato il luogo per nascondere la salma. Lo zio si troverebbe in Pakistan, così come i genitori – il padre Shabbar, 46 anni, e Nazia Shaheen, 47 anni – rientrati improvvisamente i primi di maggio in patria (come risulta dalle liste d’imbarco a Malpensa, dove invece non figurava Saman) e finiti anche loro nel registro della pm titolare del fascicolo per omicidio. Il padre aveva dichiarato in un’intervista a il Resto del Carlino che “la figlia fosse viva in Belgio” e che “sarebbe tornato il 10 giugno per chiarire la vicenda”. Una versione che non è suffragata da alcun riscontro e pertanto non ritenuta credibile dahli inquirenti.

Il terzo video e lo zainetto di Saman – Intanto è al vaglio degli inquirenti un terzo video che avvalorerebbe la tesi che la 18enne sia stata uccisa. Il filmato in questione è sempre riconducibile al ‘girato’ acquisito dalle telecamere di sorveglianza nei pressi dell’abitazione della famiglia a Novellara, e risale al 30 aprile, la data del presunto delitto. Nella sequenza, le immagini ritraggono la ragazza uscire, con uno zaino chiaro in spalla, in compagnia dei genitori mentre si dirige verso i campi dietro casa. Qui – secondo gli investigatori – sarebbe stata consegnata o ingannata ad andare verso lo zio, ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio. Passano dieci minuti e i genitori rientrano in casa, comparendo davanti alle telecamere, senza Saman. Il padre, dopo qualche minuto esce ancora di casa, si dirige nuovamente nei campi e ritorna nuovamente in casa. Ma stavolta proprio con lo zainetto che indossava la figlia in spalla. I carabinieri pensano che proprio in questo lasso di tempo, Saman sia stata ammazzata. E il suo corpo poi occultato nella zona agricola vicino alla cascina. Da giorni i carabinieri del Nucleo investigativo e dei colleghi della stazione di Novellara stanno battendo palmo a palmo le campagne nei dintorni della casa e dell’azienda agricola presso cui lavorava la famiglia Abbas alla ricerca del corpo della ragazza. Resta aperta anche la domanda sul perché – e soprattutto se poteva essere fermata – Saman l’11 aprile sia tornata a casa, interrompendo il programma di protezione in una comunità del bolognese dove era stata collocata dopo aver denunciato i genitori per le nozze forzate.

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