“Patrick Zaki non riceve farmaci adeguati, non è stato visitato da uno specialista e non gli è stato somministrato il vaccino, nonostante soffra di asma”. A dichiararlo è Marise Zaki, sorella dello studente egiziano in carcere dal 7 febbraio 2020, in un’intervista al Corriere della Sera. A poche ore dall’ennesima udienza al Cairo da cui ci si aspetta un nuovo rinnovo della custodia cautelare, la sorella si è detta in pensiero per la salute di Zaki.

“Non ci preoccupa solo l’asma – ha detto Marise – negli ultimi quattro mesi il suo dolore alla schiena si è aggravato, dal momento che non è stato sottoposto ad una terapia adatta”. Ma non è tutto. Patrick appare molto dimagrito e soffre occasionalmente di ansia e depressione. Da persona “molto energica e attiva” Patrick soffre la reclusione e la mancanza della famiglia, degli amici e della sua città adottiva, Bologna. Come racconta la sorella, anche il padre è molto angosciato per la condizione del figlio dopo averlo visitato in ospedale il mese scorso.

In attesa della decisione dei giudici sulla detenzione preventiva dello studente egiziano, Human Rights Watch, insieme ad altre 62 organizzazioni non governative, ha firmato un documento per chiedere al presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi la fine della repressione per le associazioni, i gruppi indipendenti e i dissidenti pacifici nel rispetto degli obblighi internazionali.

Il 16 giugno Patrick compirà 30 anni. E lo farà con molta probabilità ancora in carcere. “Spero ovviamente di poter festeggiare con lui nella nostra casa a Mansoura, da dove manca da più di un anno – ha detto Marise – e di vederlo di nuovo felice come era, con il suo bel sorriso. Più di tutto però gli auguro di tornare nella sua Bologna a studiare, perché so essere questo il suo desiderio più grande: imparare e crescere. E non credo proprio che questo sia un crimine”. In occasione del compleanno, Amnesty International, il comune di Bologna e le Sardine hanno organizzato una mostra pubblica dal titolo “Patrick patrimonio dell’umanità” per non spegnere i riflettori sulla sua e, anzi, portare all’attenzione le storie di altri 50 prigionieri di coscienza in 13 paesi.

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