di Giovanni Casciaro

L’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri, www.sipri.org.) nel suo rapporto annuale riporta: nel 2020 la spesa militare totale nel mondo è salita a 1.981 miliardi di dollari, con un aumento del 2,6% rispetto al 2019, malgrado una diminuzione del Pil globale del 4,4%. E per il 2021 è previsto un ulteriore aumento con il superamento della cifra di 2.000 miliardi di dollari. Questo avviene mentre la pandemia e la crisi climatica condannano milioni di persone alla povertà: non è un uso scellerato delle risorse pubbliche?

In particolare, dal rapporto risulta che gli Stati Uniti, al primo posto nel mondo per spese militari, hanno investito nel 2020 circa 778 miliardi di dollari, con un aumento del 4,4% rispetto al 2019, arrivando al 39% della spesa militare totale; la Cina, al secondo posto, ha impegnato circa 252 miliardi di dollari, con un aumento dell’1,9%; e la spesa militare della Russia si aggira intorno a 61,7 miliardi di dollari, con un aumento del 2,5%. Significative sono state le spese militari della Nato, che hanno raggiunto la cifra di 1.100 miliardi di dollari, con un aumento del 13,6% rispetto al 2019, rappresentando quasi il 56% del totale della spesa militare mondiale.

Si tratta di risorse pubbliche ingenti: sarebbero preziose se fossero utilizzate nella lotta alla povertà, nel potenziamento della sanità e della scuola. Tali enormi spese a favore dell’apparato bellico, con Stati Uniti e Nato in testa, decise dai governanti dei Paesi per “assicurare sicurezza e stabilità”, in realtà aggravano le contrapposizioni e la pericolosa escalation al riarmo. E, se si considerano anche le mega esercitazioni militari, la “guerra dei dazi”, le sanzioni economiche, le espulsioni, le ritorsioni, si avverte la dimensione della crescente tensione internazionale.

In questa situazione allarmante numerose sono le iniziative delle organizzazioni della società civile in diversi Paesi. In Italia “Sbilanciamoci”, “Rete Italiana Pace e Disarmo” e altre associazioni hanno sollecitato i governi di tutto il mondo a ridurre drasticamente le spese militari, limitare gli enormi profitti del settore bellico e utilizzare le risorse risparmiate per far fronte alle gravi emergenze in ambito sanitario, umanitario, economico, climatico e ambientale. Lo slogan lanciato da queste organizzazioni è: “Definanzia gli eserciti, difendi le persone e il Pianeta”.

Per quanto riguarda l’Italia, l’istituto Sipri riporta per il 2020 una spesa di 28,9 miliardi di dollari, con un aumento del 7,5% rispetto al 2019. E per il 2021 è previsto un ulteriore aumento, superiore all’8%, a cui aggiungere le rilevanti ricadute del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) a favore del settore militare. Quindi sono ingenti le risorse impegnate dai governanti italiani per le spese militari, malgrado l’enorme debito pubblico e i tanti bisogni disattesi dei cittadini. Mentre la maggioranza degli italiani, secondo un recente sondaggio condotto da YouGov per conto di Greenpeace, è favorevole alla loro riduzione e contraria all’esportazioni delle armi soprattutto verso i paesi dittatoriali.

Intanto l’apparato industriale e finanziario del settore bellico, forte degli enormi profitti realizzati, continua a influenzare pesantemente i decisori politici attraverso azioni di pressione, “porte girevoli”, finanziamento dei partiti e delle loro fondazioni. Per questo è necessario opporsi alle scelte politiche in atto, garantendo un forte sostegno alle iniziative a favore della Pace realizzate dalle organizzazioni della società civile.

Bisogna pretendere la soluzione delle controversie internazionali, non con minacce e guerre, ma attraverso trattative nelle sedi internazionali preposte. È importante affermare quanto stabilito dalla Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

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