Il primo gennaio di ogni anno, a partire dal 1968, si celebra per volere dei pontefici la “Giornata mondiale della pace”. Nel 2021 essa acquista senza dubbio un significato particolare, perché l’umanità sta affrontando la tragedia della pandemia e quindi risulta ancor più inaccettabile che le spese per gli armamenti continuino a crescere, sottraendo risorse preziose alla sanità e alla salute delle persone.

Partendo dalle conseguenze economiche devastanti della crisi attuale, Papa Francesco, nel suo messaggio, rilancia la proposta di Paolo VI all’assemblea Onu del 4 ottobre 1965: “Dobbiamo fermarci e chiederci: cosa ha portato a rendere normali i conflitti nel mondo? Come convertire il nostro cuore alla pace nella solidarietà e nella fraternità?”. Quello che sta accadendo mette in luce la grande dispersione di risorse in armi, che invece potrebbero essere utilizzate “per la promozione della pace e dello sviluppo umano integrale, la lotta alla povertà, la garanzia dei bisogni sanitari”. Per questo Francesco, rivolgendosi ai capi di Stato, chiede di “costituire con i soldi delle armi e delle spese militari un Fondo mondiale per eliminare definitivamente la fame e contribuire allo sviluppo”.

In effetti andrebbe rispolverata quella bella frase pronunciata da Sandro Pertini – che resta di gran lunga il miglior Presidente della Repubblica che l’Italia abbia avuto – nel messaggio di fine anno del 1979: “Si svuotino gli arsenali, si colmino i granai”. Pertini era stato comandante partigiano e la barbarie della guerra la conosceva bene in prima persona. Oggi i conflitti, molto più che in passato, appaiono come annientamento e distruzione senza limiti, come carneficina ottenuta scientemente con le più sofisticate apparecchiature tecnologiche. Adesso più che mai dobbiamo ripetere, con Omero, che polemos kakos, che la guerra è un male.

L’auspicio di Pertini è rimasto certo inascoltato, se le spese militari nel nostro Paese continuano a crescere da anni: nel 2020 abbiamo speso oltre 26 miliardi (un miliardo e mezzo in più del 2019), cioè 70 milioni al giorno. Peraltro, mentre crescevano le spese per gli armamenti, aumentavano i tagli alla sanità pubblica, e ora ne subiamo le drammatiche conseguenze. Il risultato è che mancano i posti letto e i ventilatori polmonari, ma abbiamo gli F35.

A fine novembre apprendiamo ahimè che nella legge di bilancio per il 2021 si stima siano stati stanziati ben 6 miliardi per l’acquisto di “nuovi sistemi d’arma”. Non si è fatta attendere la reazione del sindacato Sibas-Finanzieri, che con un accorato appello alla politica chiede meno spese militari e più spese sociali per sanità e istruzione: “Ci chiediamo – si legge nel comunicato stampa del 30 novembre – se sia oggi eticamente sostenibile, in piena crisi sanitaria, spendere 6 miliardi per l’acquisto di nuove armi. Noi del Sibas-Finanzieri ci auguriamo che sul tema si apra un adeguato dibattito e che quelle risorse possano essere invece destinate alla sanità pubblica e alla pubblica istruzione. Non abbiamo bisogno di cacciabombardieri, ma di reparti efficienti di terapia intensiva! Non vogliamo missili, ma scuole sicure!”.

Questa pandemia ci offre davvero un’occasione storica per ridefinire le priorità, per capire come spendere meglio il denaro dei contribuenti che finisce negli “arsenali”, e magari anche per chiederci se le cosiddette “missioni di pace” si possano veramente conciliare col “ripudio della guerra” sancito a chiare lettere nella nostra Costituzione. Rileggiamolo l’art. 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Più chiaro di così?

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