Non ci sono prove sufficienti e così il pubblico ministero sospende il processo, congela il caso e ordina la liberazione di tutti gli imputati. Svolta clamorosa nel caso dello stupro di massa nei confronti di una ragazza, fatto avvenuto nel 2014 all’interno di uno degli hotel più lussuosi del Cairo, il Fairmont Nile Hotel. Nei confronti dei sette presunti stupratori, due dei quali hanno fatto perdere le proprie tracce l’anno scorso dopo l’esplosione del caso, è stato emesso un provvedimento di non luogo a procedere e ieri la procura ha disposto il rilascio dei quattro imputati ancora in cella: Omar Hafez, Amr Hussein, Ahmed Toulan and Amir Zayed, mentre il quinto, Khaled Hussein, fratello di Amr Hussein, aveva già lasciato la prigione il 16 marzo scorso.

Nonostante le prove raccolte nell’inchiesta, nata nel luglio del 2020, a sei anni di distanza dal drammatico episodio, e soprattutto i racconti circostanziati di tre testimoni presenti al Fairmont Nile Hotel quella notte di aprile del 2014, la procura del Cairo ha deciso di fermarsi per mancanza di prove: “Se dovessero emergere nuove prove schiaccianti riapriremo il caso, ci aspettiamo testimonianze oculari”. È questo il succo di un documento diffuso ieri dalla Procura che spiega come il caso potrebbe essere riaperto in presenza di nuove testimonianze, indizi e soprattutto del video che sarebbe stato girato la notte del brutale stupro in una delle stanze dell’albergo lungo la sponda orientale del Nilo. Difficile pensare ad ulteriori testimonianze, soprattutto in considerazione delle conseguenze patite da chi ha deciso di farsi avanti. I tre coraggiosi, amici e partecipanti a quella serata di festa tra giovani ‘bene’ hanno raccontato la loro verità agli inquirenti ed in cambio sono stati essi stessi arrestati e reclusi per cinque mesi con un’accusa assurda legata all’offesa della morale e al costume. Drammatica, in particolare, la storia dell’unica testimone al femminile, giovanissima e figlia di un famoso artista egiziano. Oggi la ragazza sta ancora pagando le conseguenze di quella assurda detenzione dopo aver tentato il suicidio in carcere e una serie di problemi psicologici severi.

Difficile dunque immaginare nuove rivelazioni per favorire il ritorno di fiamma di un’indagine scomoda che tocca gli interessi di alcune famiglie molto in vista del Cairo, vicine ad ambienti militari ed imprenditoriali: le famiglie dei rampolli che quella notte, il condizionale resta d’obbligo, avrebbero violentato una ragazza giovanissima dopo averla drogata e sfregiata con un coltello incidendo sul corpo i loro nomi. La ragazza, nel frattempo, scioccata da quell’episodio, ha lasciato l’Egitto e vive all’estero, ma è stata in grado di fornire la sua deposizione e di raccontare quanto accaduto in quella notte da incubo. Secondo quanto è stato ricostruito, la giovane sarebbe stata drogata attraverso una sostanza disciolta in un drink.

Dopo il trasporto, contro la sua volontà, in una stanza dell’hotel, è iniziato lo stupro di massa. Per anni questa brutta storia è rimasta chiusa in un cassetto, fino a quando, nel luglio del 2020, l’intera faccenda è stata denunciata via social. L’ondata di sdegno per quanto raccontato da alcuni ‘bene informati’ ha spinto l’autorità investigativa ad aprire un’indagine che in poche settimane ha portato all’arresto dei sette imputati, due dei quali latitanti all’estero. Il caso dei Fairmont Nile Hotel ha subìto gli strascichi della campagna social iniziata pochi mesi prima quando le segnalazioni di alcune anonime vittime portò la polizia sulle tracce di Ahmed Bassam Zaki, molestatore e violentatore seriale, poi arrestato e finito in cella in attesa dell’avvio del processo. Tornando al caso dello stupro di massa, i presunti colpevoli torneranno in libertà e con ogni probabilità non faranno mai più ritorno in carcere nonostante le evidenze. Chi, al contrario, ha pubblicato pochi post su Facebook rischia anni di carcere duro, come sta accadendo al ‘nostro’ Patrick Zaki.

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