E così andrà a finire che la miglior celebrazione del centenario del Partito comunista l’avrà fatta una rete di Berlusconi. Certo non la Retequattro di Porro e Del Debbio, ma una delle più recenti acquisizioni del gruppo Mediaset, la nobile Focus dedita alla divulgazione scientifica e quindi anche della storia.

Non che le altre reti che si sono occupate dell’argomento nei giorni dell’anniversario, alla fine dello scorso gennaio, si fossero comportate male. Ma avevano, come dire, fatto diligentemente il loro compitino. Rai Storia aveva proposto il suo stile classico di divulgazione, con tanti documenti originali. Rai tre aveva avuto un’idea geniale, quella di fare una ricostruzione della nascita della “cosa” nel luogo in cui avvenne, il teatro Goldoni di Livorno; poi però si era persa nelle parole contrapposte tra riformismo e massimalismo dei soliti Bertinotti, Martelli.

Focus invece ha trascurato il giorno del compleanno e ha sfruttato un altro momento simbolico per quel mondo, il primo maggio, anzi la sera della vigilia e la sera del dì di festa. Due prime serate, piene, ricche. Ecco, la prima bella sorpresa che Focus ci ha regalato consiste nella quantità e nella varietà dell’offerta.

Ieri sera è andata in onda la prima puntata di un originale reportage realizzato nei mesi scorsi da Videonews (il pezzo forte su cui torneremo), seguito da un documentario inedito dell’Istituto Luce sulla famosa vicenda del treno dei bambini e per chiudere un altro documentario su un tema classico: il conflitto tra Stalin e Trotsky. Stasera si vedrà la seconda parte del reportage, poi l’esordio della rubrica di Focus dedicata ai libri e nell’occasione ai livres de chevet di alcuni personaggi legati alla storia del Pci e, per finire, un documentario sul viaggio di Krushev negli Usa del 1959, che fu una delle vittorie mediatiche del comunismo sovietico.

Insomma, la prima dimensione su cui Focus ha deciso di puntare è stata quella del palinsesto, con l’attraversamento di due intere serate dello stesso tema declinato su generi diversi: una pratica antica, tipica del vecchio servizio pubblico, oggi piuttosto rara ma efficace per dare rilievo e vivacità al tema proposto.

Ma tra tutti i prodotti interessanti spicca ovviamente il reportage di Toni Capuozzo e Vanni De Lucia diretto da Roberto Burchielli. Già reportage è una parola troppo generica, un po’ blanda per definirlo; forse road movie è un po’ troppo cinefilo, ma ci potrebbe stare, se non altro per quell’idea, tra Denis Hopper e David Lynch, di fare il viaggio su un pulmino, non un pulmino qualunque ma uno UAZ, la cui origine sovietica è motivo di battute tra i due viaggiatori. Che sono amiconi da una vita, ma da una vita divisi sul giudizio, meglio dal sentimento che provano nei confronti del partito della sinistra: critico da sempre con motivazioni diverse Capuozzo; fedele, di una fedeltà non certo cieca ma solida, De Lucia. I loro duetti, simpatici, affettuosi, pieni di ricordi, pungenti, sono già una bella sceneggiatura.

Poi c’è il viaggio, cioè le tappe scelte dai viaggiatori. E qui si giocava la partita, il risultato di tantissime ore di riprese e di più di due ore di montaggio finale. Perché raccontare cosa è stato il partito comunista in Italia, non alla sua nascita o nel lungo periodo di clandestinità, ma nel dopoguerra dal 1945 fino alla Bolognina, nel periodo in cui raccoglieva milioni di voti ma soprattutto un milione di iscritti, non è cosa facile. Non tanto per le sue posizioni, le sue scelte di politica interna e internazionale, per la sua ideologia (come la chiamano coloro che non sanno cosa significa la parola), ma per la sua natura, che non fu solo quella di un partito politico, ma, come aveva detto con ammirazione Sartre, quello di un popolo, di un mondo. Un mondo di cui erano parte operai e grandi scrittori, oscuri funzionari e divi del grande cinema italiano.

Il giro postumo di questo mondo è una bella impresa e Capuozzo e De Lucia la realizzano pienamente grazie a una scelta, quella di procedere per simboli, visitando luoghi e figure che hanno assunto nella storia del Pci quel valore simbolico di cui la sua cultura era ricchissima. Sesto San Giovanni, il Lingotto e Mirafiori, la Genova di Guido Rossa e la Casarsa di Pasolini, l’Emilia delle feste dell’Unità e la Padova della morte di Berlinguer, Luciano Ligabue e Marisa Malagoli Togliatti, la figlia di Ettore Scola davanti alla mitica osteria di C’eravamo tanto amati e Maria Grazia Tajé che fu la modella del primo manifesto femminista e ne rievoca con sorprendente disinvoltura la storia.

Accade così che, cercando e trovando persone, cose, luoghi veri, autentici, concreti si riesca a evitare la retorica, la banale nostalgia, la ripresa di stucchevoli polemiche politiche. E accade che una cosa diventi “La Cosa”, che la più semplice delle immagini, quella del tortellino preparato per la festa dell’Unità, riesca a rappresentare tutto un mondo, tutta una storia lunga mezzo secolo. Che poi è il carattere fondamentale e il privilegio del giornalismo televisivo, secondo la lezione dei suoi grandi maestri come Ugo Gregoretti o Beniamino Placido.

Articolo Precedente

Siamo più cattivi? Anche un po’ vigliacchi: vedi gli attacchi a Michela Murgia

next
Articolo Successivo

“Bella ciao una provocazione”, il servizio del Tg3 regionale dell’Emilia-Romagna sul raduno dei “Patrioti” di estrema destra

next