In Libano la fine di gennaio è stata segnata dalla ripresa delle proteste, iniziate nell’ottobre 2019, contro disoccupazione, aumento dei prezzi e inefficienza del governo. L’epicentro delle manifestazioni è stato la città settentrionale di Tripoli.

Le forze di sicurezza hanno usato gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e proiettili veri.

C’è stato un morto – Omar Tayba, che neanche stava prendendo parte alle proteste, colpito da un proiettile di rimbalzo – e i feriti sono stati oltre 300, tra i quali 40 membri delle forze di sicurezza.

Sono state arrestate 35 persone, alcune non durante le proteste ma nei giorni successivi al 31 gennaio, nelle loro abitazioni. Nei primi giorni d’interrogatorio, non è stato consentito loro alcun contatto con l’esterno.

Dopo un iniziale diniego da parte dell’esercito e delle agenzie di sicurezza, che alle richieste dell’Ordine degli avvocati avevano replicato di non aver arrestato nessuno, è arrivata la conferma che 23 persone erano indagate per furto e “terrorismo”. Da allora, 12 indagati sono stati rilasciati su cauzione – almeno uno con i segni ancora evidenti del pestaggio subito – mentre gli altri 11 restano in carcere.

Per queste persone si prospetta un processo in corte marziale, col rischio addirittura di una condanna a morte.

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