Sono rimasto molto colpito e per giunta favorevolmente dalla vittoria, al festival di Sanremo, del gruppo Maneskin: che nel bel mezzo di una pandemia tanto orribile a Sanremo vinca il rock cioè vinca un genere musicale quasi al limite dell’heavy metal, credo che non sia un fatto qualsiasi e meno che mai un fatto musicale fortuito, scorporabile dal contesto più generale. Al contrario io lo trovo carico di significato e imbevuto di senso, inavvertitamente quasi un messaggio “politico” che con la musica è stato lanciato attraverso dei ragazzi che da non molto peraltro hanno raggiunto la maggiore età.

Proprio così: i Maneskin hanno cantato ma noi, i nostri rappresentanti nelle giurie, noi semplici cittadini che ascoltiamo e non cantiamo, con le scatole piene di limitazioni di ogni sorta, li abbiamo votati facendoli vincere e quindi cantando a nostra volta il nostro bisogno di rock.

E’ come se al confronto con il brutto periodo che, a causa della pandemia, stiamo vivendo avessimo inconsciamente votato una risposta rock ai nostri problemi e nello stesso tempo è come se ci fossimo rivolti alla politica tutta invitandola – attraverso la musica – ad essere a sua volta rock.

Personalmente devo ammettere che in quella musica sabato sera – ribadisco ancora in piena pandemia, davanti al televisore, nella mia regione gialla – ho ritrovato la mia rabbia, la mia angoscia, la mia speranza e la mia sempre più irrefrenabile voglia di libertà. Quindi una grande voglia di rock, come quando da ragazzo ascoltavo i Led Zeppelin tra i più grandi innovatori del rock.

Come è noto l’espressione “rock and roll” è piuttosto antica: a partire dal Medioevo molte sono state le sue declinazioni e i suoi usi semantici, fino ad arrivare agli anni 60 quando il suo significato è finito per coincidere con la voglia di una intera nuova generazione di rompere le regole in nome di una nuova voglia di libertà.

La pandemia ci ha privato della libertà e il desiderio di riprendercela ha un significato profondamente rock: esattamente come la musica di ieri dei Led zeppelin e quella di oggi dei Maneskin.

Quindi il rock come metafora? Credo proprio di sì. In pratica nel bel mezzo di una pandemia a Sanremo sabato sera è saltato per aria il paradigma musicale, quello poetico, melodico, romantico, del bel canto e della canzone d’autore. Del resto mentre si svolgeva il festival, davanti all’Ariston c’erano i commercianti arrabbiati, a Napoli in piazza i genitori arrabbiati, a Roma davanti al Nazareno le “sardine” arrabbiate, e in ogni regione, in ogni città, tante persone arrabbiate, cioè tanti tipi e tante forme di rabbie rock. Tanti Maneskin.

Se la vittoria dei Maneskin, senza volerlo, finisce per essere una risposta simbolica alle nostre nuove prigionie, allora la lezione che dovremmo imparare da questi ragazzi è che per reagire alla tirannide della pandemia servono risposte politiche rock. Per me che mi occupo di medicina e di sanità, servirebbe addirittura una sanità rock e una politica sanitaria rock. Cioè un vero cambiamento.

E’ la tesi che ho provato ad esporre in un pamphlet appena pubblicato e che riguarda la nostra sanità pubblica (La sinistra e la sanità, Da Bindi a Speranza con in mezzo una pandemia, Castelvecchi editore). Si tratta di un libretto che si legge in mezzo pomeriggio, e che rispetto alla pandemia sostiene sostanzialmente proprio una tesi rock: oggi per tanti motivi vecchi e nuovi, in sanità ci vorrebbe una riforma rock, ma la sinistra di governo – oggi ben rappresentata dal ministro della Salute in carica – è tutt’altro che rock, è, direbbe Celentano, lenta.

Ma oggi una politica “lenta” in sanità significa molte cose pericolose perfino il rischio di perdere nel tempo la stessa sanità pubblica: rischiamo di perdere il suo prezioso grado di universalismo, rischiamo risposte inadeguate ai drammatici problemi anche di sopravvivenza delle persone, di accentuare in tema di diritto alla salute le diseguaglianze e le discriminazioni nel paese, rischiamo di mantenere un sistema sanitario istituzionalmente mal governato, rischiamo anche che, di fronte alle epidemie che come le influenze si ripeteranno in futuro, non potremo disporre un sistema efficace di prevenzione. E tante altre cose.

L’unico modo per fare della pandemia una grande occasione di cambiamento è la svolta rock della sanità. Questo mi hanno insegnato i Maneskin o meglio questo è quello che mi è piaciuto capire dalla loro, del tutta inaspettata, vittoria.

Messaggio ricevuto. Grazie e complimenti.

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