È stato il principe ereditario saudita, Mohammad bin Salman, ad autorizzare l’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, scomparso dopo essere entrato nell’ambasciata saudita di Istanbul, il 2 ottobre 2018. Secondo il report dell’intelligence americana, la cui diffusione era attesa per oggi, è stato proprio Mbs, colui che ospitò Matteo Renzi durante l’evento organizzato a Riyad nel corso del quale l’ex premier lodò la monarchia del Golfo, ad aver “autorizzato” un’operazione per “catturare o uccidere” Khashoggi.

La decisione del principe ereditario sarebbe maturata insieme alla convinzione, spiegano i servizi segreti americani, che Khashoggi, con il suo lavoro e la grande cassa di risonanza data da importanti collaborazioni, come quella con il Washington Post, rappresentasse una minaccia per il Regno e alla specifica volontà dell’erede al trono 35enne di vendere all’estero un’immagine lontana da quella oscurantista che Riyad si è costruita negli anni. Così sostenne ampiamente l’uso della violenza per metterlo a tacere. Un piano che ha coinvolto ben 21 persone, elencate nel rapporto, che i servizi americani ritengono con “alta sicurezza” complici o responsabili per la morte del giornalista. Inoltre, nella città sul Bosforo, nei giorni dell’omicidio, era arrivata una squadra di 15 persone molto vicine a Mbs. Della squadra, si legge nel dossier, facevano parte persone legate al Saudi Center for Studies and Media Affairs (Csmarc) della Corte reale, guidato da uno dei più stretti consiglieri di Mbs, così come “sette membri della scorta di élite di Mohammad bin Salman, nota come Forza rapida d’intervento (Rif)”.

L’intelligence statunitense non è però riuscita ancora ad accertare se l’omicidio di Jamal Khashoggi fosse un’azione pianificata nel tempo o se il frutto di un piano di cattura finito male. Si legge che Washington ha “un’alta convinzione” sulle responsabilità degli individui coinvolti nella morte del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, ma che non è in grado di dire se conoscessero in anticipo che l’operazione si sarebbe conclusa con la sua uccisione. A rafforzare la tesi dell’intelligence, si legge, c’è anche il fatto che “il principe ereditario saudita controlla il processo decisionale nel Regno. Fin dal 2017 il principe ereditario ha avuto il controllo assoluto della sicurezza del Regno e delle organizzazioni di intelligence. È dunque altamente improbabile che funzionari sauditi abbiano portato avanti un’operazione di questa natura senza l’autorizzazione del principe ereditario”. Già ieri la Cnn aveva rivelato che i due aerei usati dai killer del giornalista saudita per giungere a Istanbul appartengono al Fondo sovrano di Riyad, controllato dalla corona e presieduto proprio dal principe ereditario.

La replica del regime: “Inaccettabile” – In serata l’Arabia Saudita rilascia un comunicato in cui “respinge completamente” la valutazione degli Stati Uniti sull’omicidio di Khashoggi. “Il governo del regno dell’Arabia Saudita rifiuta completamente la valutazione negativa, falsa e inaccettabile contenuta nel rapporto relativo alla leadership del regno, e osserva che il rapporto conteneva informazioni e conclusioni inesatte”, ha detto in un comunicato il ministero degli Esteri saudita.

Dipartimento di Stato Usa vara il “Khashoggi ban” – In conseguenza della pubblicazione del dossier, secondo quanto riporta l’agenzia Bloomberg, il Dipartimento di Stato Usa ha deciso di varare la cosiddetta ‘Khashoggi policy’ o ‘Khashoggi ban’ per punire tutte le persone che, agendo in nome di un governo, si pensa abbiano direttamente partecipato o partecipino in attività contro i dissidenti “gravi e di natura extraterritoriale”. L’amministrazione avrebbe già identificato 76 persone che potrebbero essere sanzionate con, tra le varie misure, anche il ritiro o la restrizione dei visti.

Ma nessuna sanzione diretta colpirà bin Salman, secondo Politico che cita fonti dell’amministrazione. Il Tesoro americano si appresta invece a varare sanzioni sul generale Ahmed al-Asiri, ex vice responsabile dei servizi d’intelligence di Riyad. Sanzioni anche per la Saudi Rapid Intervention Force coinvolta nell’omicidio. Alcune fonti dell’amministrazione Usa spiegano che la decisione di non colpire direttamente il principe ereditario saudita rispecchia la volontà della Casa Bianca di non mettere “a rischio estremo” le relazioni con un alleato cruciale come l’Arabia Saudita. Dunque, un riequilibrio dei rapporti ma non una rottura con Riyad che continueranno “ai livelli appropriati”. “La nostra intenzione è di ricalibrare le relazioni con il governo dell’Arabia Saudita a tutti i livelli”, ha detto la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki.

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