Non è bastato l’appello ai responsabili in Parlamento per far rientrare la crisi voluta da Matteo Renzi. Non è stato sufficiente che Giuseppe Conte ottenesse la fiducia in entrambe le Camere (anche se in Senato solo relativa) e che si facesse garante delle trattative per formare una terza gamba capace di sostituire Italia viva. Poco dopo le 19, il presidente del Consiglio ha diffuso una nota con la decisione finale: si dimette puntando a tornare a Palazzo Chigi alla guida di un Conte ter. Le ultime mediazioni del weekend hanno confermato l’inevitabile: i giallorossi non hanno i numeri per superare indenni il voto sulla relazione del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede di giovedì e il premier, se non vuole essere sfiduciato e perdere ogni chance di restare, è costretto al passo indietro. Per questo domani martedì 26 gennaio, dopo un passaggio in Consiglio dei ministri (convocato per le 9), salirà al Quirinale per rimettere l’incarico nelle mani di Sergio Mattarella. Cosa succederà dopo? E’ ancora molto difficile da dire. La strada, indicata dalle stesse forze di maggioranza, è quella di far partire le consultazioni e lavorare quindi per un nuovo esecutivo: Pd, M5s e Leu hanno già dato la loro garanzia che Giuseppe Conte sarebbe l’unico punto di equilibrio possibile per la coalizione, anche se a Palazzo Chigi non nascondono i timori che la leadership possa essere messa in discussione se non dovessero essere trovati i numeri necessari a consolidare la maggioranza. L’ipotesi che circola negli ambienti parlamentari è che le consultazioni si svolgano tra mercoledì pomeriggio e giovedì. E una delle opzioni più accreditate è che Mattarella dia il mandato esplorativo a una figura istituzionale e non direttamente l’incarico al premier uscente.

In tarda serata Pd e M5s hanno riunito separatamente i rispettivi ministri per fare il punto della situazione ed elaborare una strategia comune per le prossime ore. La linea condivisa da tutti i partiti, dai 5 stelle ai dem fino a Leu, è quella di blindare il premier uscente. “Con Conte”, si è affrettato a twittare tra i primi il segretario Pd Nicola Zingaretti, “per un nuovo governo chiaramente europeista e sostenuto da una base parlamentare ampia, che garantisca credibilità e stabilità per affrontare le grandi sfide che l’Italia ha davanti”. Frasi che di fatto hanno ricalcato le parole pronunciate in mattinata all’emittente dem Radio Immagina, quando Zingaretti ha accusato Matteo Renzi di aver aperto “una crisi al buio” e ha ribadito che i dem intendono ripartire con Conte: “E’ il punto di equilibrio in questo momento più avanzato. Ha preso la fiducia quattro giorni fa e io sfido chiunque a dimostrare che qualcun altro può superare quella soglia”, ha detto. Proprio dal Pd oggi sarebbero arrivate le spinte per far salire Conte al Colle e passare dalle dimissioni: una richiesta che fonti interne del partito hanno smentito, ma che da alcuni giorni viene ritenuta l’unica possibilità per riuscire a convincere i cosiddetti “responsabili” a sostenere un nuovo esecutivo.

La linea Pd è stata confermata naturalmente anche dai capigruppo M5s di Camera e Senato: “Il passaggio per il cosiddetto Conte ter è ormai inevitabile“, hanno scritto in una nota, “ed è l’unico sbocco di questa crisi scellerata. Un passaggio necessario all’allargamento della maggioranza. Noi restiamo al fianco di Conte, continueremo a coltivare esclusivamente l’interesse dei cittadini, puntiamo a uscire nel più breve tempo possibile da questa situazione di incertezza che non aiuta. Dobbiamo correre sul Recovery, seguire il piano vaccinazioni, procedere immediatamente ai ristori per le aziende più danneggiate dalla pandemia. Il Movimento c’è, ed è pronto a fare la sua parte”. Proprio mentre dal governo arrivava la conferma del passo indietro del premier, a parlare è stato il commissario europeo all’Economia ed ex premier Pd Paolo Gentiloni: “In Italia stiamo un po’ nei guai”, ha detto partecipando a un incontro del Pd Belgio, “nel pieno di una crisi che non aiuta le cose, avremmo bisogno di un governo capace di garantire che la crisi non diventi crisi sociale, che non ci sia crisi finanziaria, che sappia assicurare la qualità del piano di Recovery e confermi la scelta europeista, e invece siamo nell’incertezza”. Gentiloni ha difeso l’operato dei dem in questa fase, ma non ha nascosto la necessità che si faccia di più. “Il Pd sta facendo la sua parte. Mi sento spesso con il segretario, i membri del governo e altri amici, e come ci è capitato spesso in questi anni, teniamo in piedi la baracca”. Ma, ha aggiunto “bisogna sempre cercare di farlo con una certa qualità, perché se alla fine ti limiti a tenere in piedi la baracca, e la qualità non è adeguata, rischi di pagarne i prezzi”.

La tensione non è però solo nella maggioranza, ma anche nel centrodestra. Di fronte all’ipotesi di un Conte ter, Matteo Salvini ‘convoca’ un vertice di centrodestra per domani pomeriggio, dopo la salita al Colle del premier. Una nuova ‘war room’ per serrare i ranghi e provare a blindare la coalizione, visto che il pressing dei pontieri ‘contiani’ si farà ancora più forte nelle prossime ore per trovare più ‘responsabili’ possibili e nonostante le smentite, restano ‘attenzionate‘ Forza Italia e i ‘piccoli’, a cominciare dai ‘totiani’ di ‘Cambiamo’. Intanto si fa più ampia la divisione tra chi, come Forza Italia si dice disponibile a un governo di unità nazionale e chi, invece, come Lega e FdI, guardano già alle urne. Nelle ore più calde è intervenuto direttamente Silvio Berlusconi che prima ha smentito “ogni trattativa per un eventuale sostegno al governo in carica”. Come dire, addio ‘responsabili’. Quindi ha proposto una via d’uscita: “La strada maestra è una sola: rimettere alla saggezza politica e all’autorevolezza istituzionale del Capo dello Stato di indicare la soluzione della crisi, attraverso un nuovo governo che rappresenti l’unità sostanziale del paese in un momento di emergenza oppure restituire la parola agli italiani”. Il segretario della Lega, Matteo Salvini, ha chiesto invece che si fermino “i giochini di Palazzo” e si ridia “la parola al popolo” per avere un Parlamento e un governo “per cinque anni seri e legittimati, scelti dagli italiani”. Anche la Presidente di FdI, Giorgia Meloni è andata all’attacco: “L’Italia non si merita questo schifo”.

Il nodo della giustizia – Ma perché Conte ha deciso alla fine di dimettersi e tentare la strada del Conte ter? Il problema è, ancora una volta, a Palazzo Madama dove l’esecutivo al Senato è fermo a quota 156 voti: la scorsa settimana sono bastati per avere la fiducia con la maggioranza relativa, ma fino a questo momento non sono cresciuti. In più quei voti avrebbero rischiato di diminuire tra mercoledì e giovedì, quando il guardasigilli, Alfondo Bonafede, esporrà la sua relazione sulla Giustizia. Alcuni senatori che avevano votato la fiducia alla maggioranza – come Riccardo Nencini e Pier Ferdinando Casini – nelle scorse ore avevano infatti anticipato il loro voto contrario. Lo stesso ha fatto Italia viva, che sul governo si era astenuta: Renzi aveva convocato i gruppi domani sera per decidere una linea sulla giustizia che per la verità sembrava già decisa. “Su Bonafede nessuno ha ancora detto che voteremo contro, dobbiamo leggere il testo della relazione sulla Giustizia”, ha detto il senatore di Italia Viva Eugenio Comincini, uno di quelli che da giorni è dato tra chi vorrebbe rientrare nel Pd. “Temo che sarà difficile votare diversamente da un no”, ha ripetuto ancora oggi l’ex ministra Teresa Bellanova. Il voto contrario avrebbe rappresentato la prima saldatura dell’asse tra Matteo Renzi e Matteo Salvini, pronti a trasformare la giustizia in un campo minato per la maggioranza. Per questo motivo il vicesegretario del Pd, Andrea Orlando, aveva chiesto “segnali di apertura” da parte di Bonafede, cioè concessioni su un tema fondamentale come le riforme varate dal guardasigilli: dalla prescrizione al processo civile e penale. Un’ipotesi da scartare, stando a quanto dichiarato ieri da Luigi Di Maio: “Il voto di mercoledì è un voto sul governo, non si pensi che sia solo un voto su Alfonso Bonafede del Movimento 5 Stelle“, ha detto il ministro degli Esteri, spiegando che “o nei prossimi giorni si trova la maggioranza, altrimenti sono il primo a dire che stiamo scivolando verso il voto“. Proprio l’ex capo politico del M5s aveva quantificato in 48 ore il tempo a disposizione dell’esecutivo per trovare i voti necessari a sopravvivere in Aula. 48 ore, al termine delle quali, Conte ha deciso di arrivare alle dimissioni.

Bettini: “Renzi dia segnali”. Patuanelli: “Non è soluzione” – Il rischio ora è che, nonostante le dimissioni, Conte non riesca comunque ad avere i numeri necessari per formare un nuovo governo. Anche per questo c’è chi è tornato a rivalutare l’ipotesi di dialogo con Italia viva. Una strada che hanno scartato le forze di maggioranza, ma anche gli stessi leader. E che però rischia di essere l’unica alternativa possibile da riconsiderare. Oggi non sono passate inosservate le parole del braccio destro di Zingaretti, Goffredo Bettini che ha blindato Conte. Ma non ha escluso, al tempo stesso, l’apertura ai renziani. “Penso che non ci sia possibilità di partire altro che da Conte. Deve essere un governo nuovo, secondo me anche più qualificato, che dia il senso di una fase nuova, ma Conte è imprescindibile. Non c’è nessun motivo per levare Conte”, ha detto l’ex eurodeputato a Omnibus su La7. Conte, ha aggiunto, “ha garantito il Paese, ha rimesso il Paese sui binari dell’Europa. Ha diviso il populismo fra quello mite e quello estremista”. Quindi ha aggiunto: “Se è un Renzi che ha rotto direi di no, se si mette nell’ottica di una responsabilità nazionale senza ricatti e senza prepotenze, si può guardare a una fase nuova. Dimostri effettivamente di avere il senso non dell’errore ma un po’ del salto nel buio che lui ha procurato e incominci in Parlamento a dare qualche segnale, se ci sono delle aperture nella relazione del ministro sulla giustizia”. Una strada, quella del dialogo con Renzi, che al momento è molto difficoltosa da accettare per i 5 stelle: “Chi è il problema non può essere la soluzione. Non è una questione personale ma di affidabilità politica”, ha dichiarato nel pomeriggio il ministro per lo Sviluppo Economico Stefano Patuanelli. Da domani però, con le dimissioni di Conte, si redistribuiscono le carte. E ripartono le trattative.

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