Per settimane ha ripetuto che quella tra lui e Conte “non è una questione personale“. Ha parlato di disinteresse per le “poltrone”, di disponibilità “al dialogo” in caso di cambio di passo sul Recovery e una delle sue ministre ha pure riconosciuto di avere “fiducia istituzionale” in Palazzo Chigi. Ma quando si è trattato di annunciare le dimissioni della delegazione di Italia viva dal governo, in un’ora e dieci di conferenza stampa Matteo Renzi ha usato gran parte del suo tempo per attaccare direttamente il presidente del Consiglio. Tra i punti elencati dal leader di Iv per giustificare la crisi, il primo riguarda proprio il “metodo” usato da Conte per governare: dall’utilizzo “ridondante delle dirette tv a reti unificate” e dei social network a quello “discutibile della delega ai servizi”, fino all’accusa di aver “trasformato in show” il ritorno a casa dei pescatori sequestrati in Libia. Proprio lui che, il 21 febbraio 2014, twittò il celebre “Arrivo, arrivo” direttamente dalle sale del Quirinale prima di sciogliere le riserve sul suo governo. “Il re è nudo“, sentenzia oggi Renzi. “Risolviamo i problemi, ma pensare di farlo con un tweet o un post su Instagram è populismo“.

Toni feroci che riflettono i rapporti ormai deteriorati tra i due: a Natale ai tentativi del presidente del Consiglio di costruire in prima persona una linea di comunicazione con Firenze, l’altro rispondeva gelido, alzando ogni giorno di più la posta in gioco. Fino all’epilogo inevitabile della telenovela. “La politica richiede il rispetto delle liturgie della democrazia. Poiché c’è la pandemia, occorre rispettare le regole democratiche”, sostiene Renzi. “Questo è il punto fondamentale: non giochiamo con le istituzioni, la democrazia non è un reality show dove si fanno le veline. Questo prevede la nostra Costituzione che non è una storia su Instagram”. Come a dire: se sei un uomo delle istituzioni devi mantenere un basso profilo, facendo politica solo nei luoghi preposti. Ma basta fare un passo indietro di qualche anno per trovare l’ex sindaco di Firenze ospite di Maria De Filippi ad Amici, con tanto di giacca in pelle in pieno stile Fonzie per raccattare il supporto dei più giovani.

Renzi condanna Conte anche per aver mostrato “timidezza” nel condannare le violenze di Washington alimentate da Donald Trump, è tornato sul tema del Mes, del Recovery plan ancora “insufficiente” e dell’eccessivo ricorso ai dpcm per combattere la pandemia. Ma il filo rosso del suo discorso è sempre la comunicazione di Palazzo Chigi, contestata proprio da chi fece dei social uno dei capisaldi del proprio modo di fare politica. “Non si può fingere che va tutto bene. Siamo pronti a dare una mano, a parlare di tutto con tutti senza ideologie, non stiamo facendo niente di irresponsabile: diciamo che se c’è una crisi politica la si affronta nei luoghi istituzionali, non negli spot su Facebook ma ai tavoli politici e nelle aule del Parlamento”, denuncia il leader di Iv. Sono lontani i tempi dell’hashtag #enricostaisereno che Renzi lanciò da Daria Bignardi alle Invasioni Barbariche il 17 gennaio 2014 per smentire il fatto che avrebbe preso il posto di Enrico Letta a Palazzo Chigi. Passò poco più di un mese e il presidente del Consiglio era lui. Una passione per il piccolo schermo che non si è mai sopita: dallo sdoganamento delle slide in conferenza stampa per spiegare ai cittadini i contenuti dei provvedimenti del suo governo al ruolo di presentatore nei documentari-one man show su Firenze.

Se in televisione vanno gli altri, invece, ad esempio per spiegare al Paese le restrizioni alla libertà personale dovute all’emergenza sanitaria, si tratta di un “vulnus nelle regole del gioco“. Come durante le fasi finali dell’approvazione della legge di bilancio 2021, passaggio che il fondatore di Italia viva considera “emblematico“. “Mentre il Senato votava in 36 ore una legge di bilancio senza poterla modificare”, spiega, “la presidenza del consiglio organizzava una conferenza stampa e non partecipava ai lavori”. Il riferimento è alla consueta conferenza stampa di fine anno che Palazzo Chigi apre a tutti i giornalisti. “Voi direte: ‘Questi argomenti non interessano ai cittadini’. È vero”, ammette Renzi. “Chi ci segue da casa, al 99% considererà questi fatti banali, insignificanti”, dice, consapevole di avere gli occhi di milioni di telespettatori puntati addosso. “Invece sono i cardini della democrazia“. Conte potrebbe aver pensato lo stesso quando, martedì sera, mentre il decisivo Consiglio dei ministri sul Recovery plan era appena iniziato, il leader di Iv anticipava a Cartabianca su Rai3 che le sue ministre si sarebbero astenute in caso di mancato inserimento del Mes nel Piano di ripresa.

Ai siluri scagliati contro Palazzo Chigi si sommano quelli citati dalle ministre Teresa Bellanova, Elena Bonetti e dal sottosegretario Ivan Scalfarotto nella loro lettera di dimissioni, in cui vengono elencate una serie di mancanze del premier colpevoli di aver “delegittimato” il “metodo democratico“. Al netto di tutto questo, Renzi pensa di poter ancora fare parte di una maggioranza che abbia Conte al suo vertice. “Siamo pronti a dare una mano, a parlare di tutto con tutti senza ideologia. Non siamo irresponsabili”, dice. A patto che si discuta “in Parlamento. Noi non saremo mai dei segnaposto. Se c’è un’apertura politica vera si discute in Parlamento, non per la strada con la gente che ti urla e ti fischia”. Ultima stoccata a una giornata convulsa, durante la quale il presidente del Consiglio e gli altri partiti di maggioranza si sono spesi per ricucire lo strappo ricevendo solo porte sbattute in faccia. “Se vuoi fare un’apertura vera la fai sui contenuti“, chiosa Renzi. Che dopo la carrellata di attacchi a Palazzo Chigi, quasi sul filo dell’insulto, insiste: non sono critiche “alla persona, ma al comportamento“. E allora cos’è, se non una questione personale?

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