Anche con un tasso di contagiosità, il famoso Rt, minore a 1 è pericoloso ridurre le misure restrittive per contenere la diffusione del virus. Un anticipo prematuro delle riaperture infatti può portare a un nuovo picco dei casi. A dimostrarlo è uno studio, basato sui dati della prima ondata dell’epidemia di Covid, condotto dai ricercatori della Fondazione Bruno Kessler (Fbk), Istituto superiore di sanità (Iss) e Inail, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Science of the United States (Pnas).

Se, per esempio, la fine del primo lockdown, avvenuta il 18 maggio, fosse stata anticipata al 20 aprile, il numero di ricoveri cumulativi sarebbe potuti aumentare di circa il 500 per cento rispetto a quelli registrati da maggio a fine settembre. In Italia, secondo l’ultimo monitoraggio della cabina di regia (relativo alla settimana 21-27 dicembre), l’Rt medio era ormai a un passo dall’1 (0,93) e in tre regioni aveva già superato questo valore. Dall’analisi emerge che è fondamentale mantenere l’indice di contagiosità sotto l’1 per avere un margine di azione dopo il rilascio delle restrizioni. Inoltre un’incidenza bassa consente di avere un numero di ospedalizzazioni e decessi più o meno costante dopo che l’Rt torna ad avvicinarsi all’1 a seguito delle riaperture.

Come di fatto è accaduto la scorsa estate, sottolineano i ricercatori: l’Rt a livello nazionale è stato stimato a circa 3 in febbraio, è poi sceso sostanzialmente sotto 1 nel giro di due settimane a seguito del lockdown imposto l’11 marzo ed è poi ricresciuto a valori vicini e anche leggermente superiori a 1 a seguito delle riaperture del 18 maggio. “In particolare – spiega Stefano Merler, ricercatore Fbk -, l’incidenza deve essere sufficientemente bassa da poter essere gestita dai sistemi di prevenzione con l’isolamento dei casi e la quarantena dei contatti. Basandosi sul periodo in cui i servizi di prevenzione hanno cominciato ad andare in sofferenza a causa dell’aumento di incidenza di casi durante la seconda onda, questa incidenza dovrebbe essere inferiore a circa 50 casi settimanali ogni 100mila abitanti”.

Le misure di mitigazioni generano impatti diversi. La ricerca mostra che i contatti in ambito lavorativo (escludendo i servizi essenziali, come gli ospedali, che possono essere ad alto rischio ma non possono essere sospesi) potrebbero non incidere molto sulla trasmissibilità di Sars-Cov2, ma che comunque è opportuno favorire lo smartworking. Per quanto riguarda le scuole, anche la riapertura di asili, elementari e medie potrebbe avere un impatto limitato sulla trasmissibilità del virus a causa della minor suscettibilità all’infezione dei bambini e ragazzi fino a circa 14 anni di età. Ma riattivare quasi completamente i contatti sociali e le scuole di ogni ordine e grado, come avvenuto in tarda estate, può produrre un’onda epidemica non contenibile senza severe misure restrittive.

Gli autori hanno stimato che fino al 30 settembre 2020 si è infettata circa il 4.8 per cento della popolazione italiana, con grandi differenze tra le regioni: circa l’11 per cento in Lombardia, il 2 in Lazio e l’1 in Campania. Questo significa che gli effetti delle riaperture possono essere diversi da regione a regione a seguito dei diversi livelli di immunità raggiunta e della diversa prevalenza di infezione. La ricerca suggerisce infine un possibile ruolo della struttura demografica, con un minore impatto di Covid-19 nelle regioni con popolazione più giovane.

Lo studio su Pnas

Articolo Successivo

Vaccino Covid Pfizer Biontech, lo studio preliminare: “Protegge dalle varianti inglese e sudafricana”

next