Il piano B sul Recovery Fund è sul tavolo. L’impasse dovuta all’ostruzionismo di Polonia e Ungheria che si oppongono alla clausola sullo Stato di diritto come condizione sine qua non per l’erogazione dei fondi destinati al contrasto della crisi dovuta alla pandemia ha spinto gli altri Paesi, Germania in testa, a pensare a una formula che permetta l’erogazione dei soldi con un accordo tra 25 Paesi membri e non più 27. Un piano che, oltre a mostrare le difficoltà di convivenza tra gli Stati Ue anche su un tema come la lotta al coronavirus, presenta anche questioni tecniche da sciogliere.

A riportarlo d’attualità oggi è stato anche il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, che nel corso di un evento organizzato da Eunews ha dichiarato che se non fosse possibile sbloccare il veto di Polonia e Ungheria possiamo “adottare quelle decisioni anche a 25. Sarebbe doloroso, sarebbe una ferita, ma non possiamo fermarci“. Il capo dell’Eurocamera ha spiegato che il pacchetto economico da 1.800 miliardi viene “messo a repentaglio da un veto insensato di Ungheria e Polonia che frenano alcune delle misure più importanti. Abbiamo fiducia che la presidenza di turno tedesca possa sbloccare” questa situazione. “Siamo molto preoccupati – ha concluso – perché se ci fosse un blocco dei meccanismi, significherebbe ricominciare da capo e mettere a rischio la ripresa dei nostri Paesi”.

Una questione presa in esame prima di tutti proprio dalla Germania, con la Cancelliera tedesca, Angela Merkel, che ha più volte lanciato l’allarme sui rischi di un ritardo sull’erogazione dei fondi che potrebbe mettere in ginocchio i Paesi più colpiti dalla pandemia. Così, anche il capogruppo del Partito Popolare Europeo e membro della Cdu tedesca, Manfred Weber, parlando in videoconferenza alla stampa straniera in Germania ha ribadito che con l’aiuto della “cooperazione rafforzata” di un gruppo di Stati dell’Ue è legalmente possibile per gli altri Paesi decidere in merito agli aiuti per il Covid anche senza Ungheria e Polonia. “Allora anche i fondi regionali, dai quali i due Paesi traggono grandi benefici, non andrebbero a Budapest e Varsavia”, ha avvertito. “Stiamo giocando con il fuoco”.

Portare a compimento un piano del genere, però, è tutt’altro che semplice e richiederebbe nuovi negoziati tra i 25, a una settimana dal prossimo Consiglio europeo. Una volta costituite le garanzie equivalenti all’headroom, ossia il margine tra il massimale esistente nel Mff e il massimale delle risorse proprie, bloccato dal veto ungaro-polacco, la Commissione potrebbe comunque andare sui mercati e indebitarsi, forte delle garanzie fornite dai 25. Ovviamente Polonia e Ungheria verrebbero escluse dai fondi per la ripresa, il loro veto verrebbe depotenziato e a quel punto politicamente si troverebbero ai margini dell’Ue.

Il problema è che se non si troverà presto un’intesa il bilancio del 2021 dovrà essere comunque riscritto. La Commissione dovrebbe presentare una nuova proposta di bilancio annuale per l’anno venturo che passerebbe a maggioranza qualificata, con Budapest e Varsavia che non potrebbero bloccarlo. Questo comporterebbe comunque “tagli significativi” rispetto alla spesa prevista inizialmente, come ha confermato il portavoce capo della Commissione Ue Eric Mamer. Entrerebbe in vigore l’esercizio provvisorio, che comporta limiti rigidi al bilancio Ue: la spesa mensile per ogni capitolo di bilancio, ad esempio, non potrebbe superare un dodicesimo degli stanziamenti dell’esercizio precedente. In ogni caso, anche a questa spesa si applicherebbe la condizionalità dello Stato di diritto e Polonia e Ungheria, che sono beneficiari netti del bilancio Ue, si troverebbero in forte difficoltà. È proprio su questo punto che i 25 stanno cercando di mettere alle strette i due governi: se si aprisse a una possibilità del genere, i due Paesi avrebbero molto da perdere in termini economici. Una cooperazione a 25, comunque, sarebbe una specie di ponte fino a quando non sarà trovato un accordo a 27.

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