“È deplorevole che i progetti sul gas siano stati inclusi nei precedenti elenchi dei Progetti di interesse comunitario (Pci) senza valutarne adeguatamente la sostenibilità”. Il Mediatore europeo (Ombudsman) Emily O’Reilly, l’organo indipendente che riceve le denunce di cattiva amministrazione a carico delle istituzioni Ue, boccia così l’operato della Commissione europea che ha ammesso le infrastrutture del gas naturale nella lista (aggiornata ogni due anni) dei Pci. Quelli che possono godere di particolari facilitazioni, sia in quanto a iter burocratici più snelli, sia in quanto a finanziamenti in ragione della loro importanza nel raggiungimento degli obiettivi di politica energetica dell’Unione.

Sulla carta, nell’ultima lista stilata nel 2019 (la quarta) il numero dei progetti sul gas si era ridotto, passando dai 53 di due anni prima ai 32 progetti, ossia il 21% del totale di quelli inclusi, ma si tratta di infrastrutture piuttosto importanti, tanto che alcune reti ambientaliste avevano contestato il numero, osservando che la Commissione aveva contato alcuni progetti in gruppi piuttosto che individualmente. Rientrano nella lista, infatti, anche sei progetti italiani come il Tap (Trans-Adriatic Pipeline) tra Grecia e Italia via Albania e Mare Adriatico, inserito nel ‘Corridoio meridionale del gas’ e il corridoio per le interconnessioni del gas tra Malta e l’Italia (Gela) che fa parte, invece, del progetto definito ‘Interconnessioni del gas nord-sud nell’Europa occidentale’. Secondo il Mediatore europeo queste infrastrutture sono state selezionate con modalità discutibili.

LA DENUNCIA – L’indagine era partita a febbraio del 2020 in seguito alla denuncia della ong Food & Water Europe. Il primo punto critico è rappresentato dall’attuale regolamento Ue che definisce i criteri di selezione (347/2013). Nel caso dei progetti nel settore del gas che rientrano nelle categorie di infrastrutture energetiche, occorre che rispettino almeno uno dei seguenti criteri specifici: l’integrazione del mercato (facendo uscire dall’isolamento almeno uno Stato membro), la sicurezza dell’approvvigionamento, la concorrenza (tramite la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, controparti e rotte di fornitura), la sostenibilità (riducendo le emissioni, promuovendo la produzione intermittente di energia a partire da fonti rinnovabili e aumentando la diffusione di gas rinnovabile). La ong ha osservato che, nonostante il lancio del Green Deal europeo, per stilare la lista del 2019 il criterio della sostenibilità e, quindi, l’impatto di ciascuna opera sul cambiamento climatico non erano stati adeguatamente presi in considerazione per l’assegnazione dello status di Pci.

IL CONFLITTO DI INTERESSE – “Un altro problema – racconta a ilfattoquotidiano.it Antonio Tricarico di Re:Common – è rappresentato dal fatto che, riguardo al criterio della sostenibilità, la Commissione si è affidata a metodologie di valutazione fornite da Entsog (European Network of Transmission System Operators for Gas), la rete europea dei gestori dei sistemi di trasmissione del gas, senza neppure implementarle”. L’Entsog è nata nel 2009 con l’obiettivo di creare un mercato europeo dell’energia, indipendente dalla Russia e, per farlo, i Paesi dell’Ue si sono affidati alle aziende distributrici, tra cui l’italiana Snam. Il risultato: i soggetti privati che hanno il monopolio dei dati sensibili sul gas (in base ai quali si stimano i consumi) hanno tutto l’interesse affinché la domanda di gas risulti alta. Di fatto, mentre la rivista Investigate Europe ha analizzato i dati della ong Global Energy Monitor e dell’associazione industriale Gas Infrastructure Europe (GIE), secondo cui almeno 104 miliardi di euro saranno spesi in Ue per nuovi progetti di gas, a gennaio 2020 la società di consulenza francese Artelys ha pubblicato uno studio nel quale si sostiene che l’Unione europea rischia di investire 20 miliardi di euro in progetti non necessari legati al gas. Eppure non solo la lobby stabilisce di quanto gas c’è bisogno, ma propone anche le infrastrutture (di suo interesse) e, alla fine, stabilisce i criteri secondo cui questi progetti debbano o meno entrare nella lista dei Pci.

LA VALUTAZIONE BOCCIATA – “L’approccio proposto da Entsog – spiega Tricarico – si basa sul presupposto che di tutti i progetti sul gas andavano automaticamente considerati solo i vantaggi positivi sulla mitigazione della CO2 (in considerazione del passaggio ritenuto sempre e comunque positivo dal carbone al gas e di una quota significativa di gas rinnovabile) senza considerare gli impatti negativi di quello che resta un combustibile fossile”. Già a settembre 2019, ricorda, questo aspetto era stato sottolineato dall’Agenzia dell’Unione europea per la cooperazione tra i regolatori dell’energia (Acer), secondo cui l’assenza di una solida valutazione del contributo delle infrastrutture in questione alla sostenibilità “porta a grandi incertezze e dubbi sulla fattibilità (o addirittura sulla necessità) dei progetti a lungo termine”. Ora, dopo che l’Europa sta diventando un groviglio di gasdotti, il mediatore O’Reilly ha preso posizione, sollecitando un aggiornamento dei criteri di valutazione dell’effettivo impatto climatico, prima che vengano valutati i nuovi progetti candidati per la quinta lista Pci, che dovrebbe essere presentata nel 2021. Occorre valutare, dunque, “l’impatto previsto sull’intensità complessiva di gas a effetto serra della produzione di energia in un dato Stato membro” e le emissioni relative al funzionamento dell’infrastruttura stessa”.

IL PROSSIMO ELENCO DI PCI – La Commissione ha dichiarato che è in fase di elaborazione un criterio di sostenibilità aggiornato, che dovrebbe essere pronto per valutare i progetti candidati per il quinto elenco Pci. Ma, come fa notare Andy Gheorghiu di Food & Water Europe “la Commissione intende ancora collaborare con Entsog”, quando quello che si rende necessario per i futuri Pci è proprio “un test di sostenibilità più rigoroso e indipendente”. Al centro della questione, quindi, resta il conflitto di interessi che rischia di allontanare l’Europa dall’indipendenza dalle fonti fossili “allungando i tempi della cosiddetta fase di transizione – aggiunge Tricarico – in modo che i costi di questi progetti vengano ammortizzati e in attesa che le alternative al gas diventino economicamente convenienti. Un attesa che può durare decenni”

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