La Corte d’appello di Bologna ha annullato i licenziamenti e ordinato il reintegro dei facchini in appalto alla Gls di Piacenza, che un anno e mezzo fa avevano occupato per 15 giorni il tetto dello stabilimento (il caso era stato raccontato qui). Ma la loro vicenda non è ancora finita. A quasi un mese dal deposito della sentenza, la Natana.Doc, società fornitrice di servizi logistici nell’hub, si rifiuta di riassumerli a causa di un cambio d’appalto che il sindacato definisce un “gioco delle tre carte” a danno dei più deboli. Per questo, i 16 lavoratori reintegrati, tutti stranieri e aderenti all’Unione sindacale di base (Usb), venerdì 20 novembre sono entrati nel magazzino arrampicandosi sulle saracinesche e incatenandosi alle rulliere. “Non un’occupazione ma un legittimo ingresso nel luogo di lavoro, così come stabilito dalla sentenza”, hanno spiegato. Il picchetto, proseguito per quattro ore, si è sciolto spontaneamente intorno alla mezzanotte. “Ma non è finita qui, abbiamo depositato un ricorso d’urgenza al tribunale perché renda esecutiva la decisione. Ci rivolgiamo anche alla Prefettura, aiutateci a sbloccare questo stallo inaccettabile”, dice al Fatto.it Riadh Zaghdane dell’esecutivo nazionale Usb.

Gli operai avevano guadagnato l’attenzione dei media lo scorso anno, occupando per 15 giorni di fila il tetto dello stabilimento . Una protesta contro 33 licenziamenti decisi da Seam – ditta subappaltatrice di Natana – il 29 gennaio 2018, dopo numerosi scioperi per rivendicare migliori condizioni di sicurezza. In particolare, l’Usb aveva chiesto l’allontanamento di un lavoratore accusato di aver ferito tre colleghi, aggredendoli con un tirapugni. Nelle lettere di licenziamento per giusta causa si contestava ai facchini di aver impedito “che si realizzasse la normale attività lavorativa” del sito produttivo, bloccando le cosiddette buche (cioè i varchi di carico e scarico) e causando danno all’attività imprenditoriale. Ma il Tribunale di Piacenza, nella sentenza di primo grado, dà ragione all’azienda con una motivazione ancor più radicale: “È del tutto innaturale lo sciopero indetto per sollecitare il potere datoriale contro un lavoratore. (…) Il ripetuto sciopero – scrive il giudice – nella sostanza risulta piuttosto una guerra per bande”, sicché “non di adesione a sciopero si tratta, ma di ingiustificata astensione dalla prestazione lavorativa”, che rappresenta giusta causa di licenziamento.

A ribaltare l’impostazione, però, arriva la Corte d’appello di Bologna: nella sentenza depositata il 28 ottobre scorso, il collegio rileva come “il diritto di sciopero non incontra limiti diversi dall’intangibilità di altri diritti o interessi costituzionalmente garantiti”, pertanto “è privo di rilievo l’apprezzamento che possa farsi della ragionevolezza, della fondatezza e dell’importanza delle pretese perseguite”. Riguardo alla contestazione mossa dall’azienda, poi, i giudici fanno notare che “le buche potenzialmente utilizzabili erano 60 e ciascuna poteva servire anche due camion, di talché non erano certamente presidiabili dai 33 lavoratori licenziati in conseguenza dei fatti”. Inoltre, “da parte datoriale non vi è stata alcuna offerta di prova ai fini dell’individualizzazione delle responsabilità”: le lettere di licenziamento, infatti, erano uguali per tutti, mentre i protagonisti del picchetto erano una netta minoranza. Per questo la Corte annulla i licenziamenti per insussistenza della giusta causa, condannando SEAM al reintegro nel posto di lavoro e a un risarcimento di dodici mensilità. Decisione, questa, valida solo per i sedici ricorrenti assunti successivamente all’entrata in vigore del Jobs Act, che ha limitato le fattispecie in cui è prevista la reintegrazione. Per tutti gli altri, la sentenza è attesa il mese prossimo.

Ma anche i facchini vittoriosi rischiano di non poter riavere il posto di lavoro: la Seam “di fatto non esiste più, è stata svuotata per tutelarsi”, spiega Zaghdane. Poco dopo i licenziamenti, infatti, il consorzio Natana.Doc di cui fa parte la pone in liquidazione e riassume direttamente tutti i lavoratori, annullando il subappalto. In questo modo, formalmente, l’appalto in cui erano impiegati i 16 è adesso in mano a un’azienda diversa, non tenuta a dar corso al provvedimento giudiziario. “È chiaro che non si tratta di un cambio d’appalto, ma di un trasferimento d’azienda mascherato”, attacca l’avvocato Jacobo Sanchez Codoni, che ha seguito i ricorsi individuali. “Natana e Seam hanno lo stesso proprietario, fanno parte di un unico consorzio e la prima ha impiegato tutti i lavoratori della seconda”.

“Il datore di lavoro ha semplicemente cambiato nome, per poter continuare ad agire indisturbato con poco o nessun rispetto delle norme, e chissenefrega se dei padri di famiglia restano in mezzo alla strada”, scrive Usb in un comunicato. “Anche Gls, la committente, fa finta di nulla, tace e se ne frega della sentenza della Corte d’appello. Questo è il sistema degli appalti, un astuto meccanismo che consente ai padroni di sottrarsi alle loro responsabilità nascondendosi dietro al fornitore di servizi. Chiediamo la solidarietà di tutti i lavoratori: in ballo ci sono il diritto di sciopero, il rispetto della legalità, la difesa della dignità, la democrazia, l’interesse di tutti”.

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