Cinema

The Specials, i registi di Quasi amici ripetono il piccolo miracolo

Lo sfondo è quello della Parigi contemporanea dove tutto corre distrattamente lasciando nell’oblio chi soffre nascosto dietro la maschera dell’autismo

di Anna Maria Pasetti

Il valore della nuova fatica cinematografica di Éric Toledano e Olivier Nakache è racchiusa nel suo titolo, The Specials, film di rara levità sulla malattia mentale tradotta nel sociale. Del resto la dorata coppia di registi francesi si è fatta nome e successo grazie al racconto della disabilità scanzonata con l’indimenticabile Quasi amici – Intouchables (2011), tuttora il maggior incasso nelle sale Oltralpe. A nove anni di distanza, i due cineasti riescono nel piccolo miracolo di superare loro stessi per maturità espressiva e capacità di entrare nelle pieghe di un disagio che non è solo sanitario. L’ispirazione arriva dall’incontro con gli operatori sociali Stéphane Benhamou, fondatore dell’associazione “Le Silence des Justes”, e Daoud Tatou, direttore dell’associazione “Le Relais IDF”: dall’iniziale intenzione di farci un documentario la scelta (vincente) di mutarlo in film di finzione, perché è nel pedigree di Nakache e Toledano la capacità di alleggerire la gravità senza privarla di profondità. Così Benhamou è divenuto Bruno dal volto ebreo e barbuto di Vincent Cassel mentre Tatou si è trasformato in Malik, musulmano, dall’inedita leggiadria di Red Kateb. E con due coppie sapienti di tale portata dietro e davanti alla macchina da presa, si è compiuto un prodigio così “Special” che a fine film vorremmo vederne ancora.

Lo sfondo è quello della Parigi contemporanea dove tutto corre distrattamente lasciando nell’oblio chi soffre nascosto dietro la maschera dell’autismo: perché i casi più gravi non li vuole nessuno, men che meno le strutture sanitarie specializzate, con le famiglie evidentemente abbandonate a loro stesse che trovano nei volontari l’unico rifugio possibile. Il dramma è che queste ammirevoli iniziative del mondo private non godono ancora in Francia del riconoscimento di struttura sanitaria, cosa che impedisce loro di ricevere un doveroso sostegno pubblico. Il dato aggrava il paradosso laddove tutti, in ambiente di salute mentale, conoscono perfettamente la situazione e si rivolgono ai volontari quando non sono in grado di ospitare gli autistici gravi. Nel film tutto questo è sottostante al tessuto narrativo ma non ne costituisce la colonna portante: al centro, infatti, sono le storie di quotidiana emergenza vissute da Bruno e Malick, e dai loro ragazzi, sia i malati con le loro famiglie che – soprattutto – i giovani volontari raccolti dalle strade di periferia che i due “eroi” si (pre)occupano di formare affinché abbiano un ruolo attivo nella società civile. Gente di ogni lingua, cultura e colore di pelle: chiunque alla corte di Bruno e Malick ha un ruolo importante. Un lavoro a doppia mandata quindi, da una parte sanitario, dall’altro squisitamente socio/civile. La bellezza di The Specials sta nel mostrare allo spettatore che – in realtà – questa realtà è parte integrante della normalità, con alti e bassi, lacrime e risate, cadute e risurrezioni, con una danza struggente e vitale a scaldare il cuore dei meno sensibili.

Non è dato spazio alla retorica – giammai nel cinema di Nakache e Toledano, capaci di far morire dal ridere come in C’est la vie o di far riflettere come in Samba – in questo piccolo gioiello, non casualmente scelto dal Festival di Cannes 2019 quale film di chiusura fuori concorso e vincitore del pubblico a San Sebastian: a Roma è stato recentemente applaudito nel programma di Alice della Città con tanto di presenza dei registi e del meraviglioso Reda Kateb, tutti a sfidare tamponi e controlli anti Covid pur di accompagnare il loro film. Opera che era prevista nelle sale cinematografiche a partire dal 29 ottobre ma che la pandemia ha spostato in quelle virtuali, purtroppo: così la vedremo dal 18 novembre su Sky Primafila Premiere, MioCinema e #IoRestoInSala, mentre dal 23 estesa anche altrove. Un vero gioiello di cinema umanista intimamente ispirato, come da dichiarazione dei filmmaker, a quell’Oro di Napoli di nobile e popolare memoria.

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