Ventidue anni di carcere per l’omicidio volontario di Soumaila Sacko, il bracciante del Mali ucciso con un colpo di fucile in testa il pomeriggio del 2 giugno 2018 mentre si trovava in un terreno abbandonato nelle campagne di San Calogero, nel Vibonese. La Corte d’Assise di Catanzaro, presieduta da Alessandro Bravin, ha condannato in primo grado Antonio Pontoriero, un agricoltore di 45 anni. È stato lui, secondo la Procura che aveva chiesto 30 anni di reclusione, a sparare al giovane maliano e gli altri due braccianti agricoli che, quel giorno, si trovavano con la vittima all’interno dello stabilimento dismesso detto “La Fornace Tranquilla”. Uno di loro, Madihieri Drame, è stato il teste chiave del processo nel corso del quale ha confermato le sue dichiarazioni rese ai carabinieri poche ore dopo il delitto. Fino alla fine, infatti, il giovane ha puntato il dito contro Antonio Pontoriero, accusato non solo di omicidio volontario ma anche di detenzione e porto illegale di armi da fuoco e munizioni.

Di lui, Drame aveva pure fornito l’identikit, descrivendolo come una persona di mezza età, di statura media, che indossava una maglietta a maniche corte di colore nera e un paio di pantaloni lunghi e grigi. Soumaila Sacko, sindacalista dell’Usb che quando è stato colpito stava prendendo delle lamiere di alluminio per costruire una baracca nella tendopoli di San Ferdinando, in provincia di Reggio Calabria, non è morto sul colpo. La sua agonia era durata quasi cinque ore. Trasportato all’ospedale di Reggio Calabria, infatti, il bracciante si è spento quella sera stessa.

Stando alla ricostruzione degli inquirenti, sul luogo del delitto c’è stato un vero e proprio “tiro al bersaglio”: dopo aver sparato al maliano alla testa, Pontoriero avrebbe cercato di colpire anche gli altri due extracomunitari che però sono riusciti a salvarsi perché scesi dal tetto dello stabilimento dismesso. Per l’accusa, il movente dell’omicidio è da ricercare nell’incapacità, da parte dell’imputato, di sopportare l’ennesima irruzione nell’area dell’ex Fornace che considerava sua. Eppure si trattava di un terreno abbandonato in cui la Procura di Vibo Valentia aveva scoperto una discarica abusiva dove le Fiamme Gialle hanno rinvenuto 135mila tonnellate di rifiuti tossici provenienti anche dalla centrale Enel di Brindisi.

L’omicidio di Soumaila Sacko ha posto al centro del dibattito politico il ghetto di San Ferdinando che, nei mesi invernali interessati dalla raccolta delle arance, ospitava oltre 2mila migranti. Dopo il delitto, il presidente della Camera, Roberto Fico, è arrivato in Calabria per portare le condoglianze ai compagni di Soumaila, la cui salma è stata consegnata alla sua famiglia in Mali. Pochi giorni prima, in Senato, lo aveva ricordato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte: “Era uno tra i mille braccianti, con regolare permesso di soggiorno, che tutti i giorni in questo Paese si recano al lavoro in condizioni che si collocano al di sotto della soglia di dignità”. Sono passati due anni e mezzo dal giorno in cui Soumaila è morto per aver tentato di trovare una soluzione per ripararsi dal freddo. Oggi la Corte d’Assise di Catanzaro gli ha reso giustizia. Almeno in primo grado.

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