“Andrà tutto bene”, “Niente sarà più come prima”, “Il virus ci cambierà”, ”Il virus non ci cambierà” e slogan/hashtag discorrendo, mesi passati a fantasticare, quando non a pontificare, sulle conseguenze del post-Covid, anche quando questo post-Covid si fa attendere e ci dilania, ci intontisce, ci fa perdere lucidità o ci convince che mai in vita nostra abbiamo ne abbiamo avuta così tanta.

Allora ci stringiamo, anche se non fisicamente, o ci allontaniamo ben oltre le distanze da protocollo sanitario. L’altro è il nemico, il possibile portatore del virus oppure il possibile portatore di un pensiero diverso dal mio, allora scattano i protocolli naturali ed istintivi dell’essere umano. Perché è la realtà personale a prevalere sempre e comunque, se ho di che vivere le restrizioni le posso accettare, quando non incoraggiare. Se le restrizioni mi tolgono di che vivere o mi producono comunque perdite importanti, allora non le accetterò.

Il virus circola e le nostre emozioni fanno altrettanto, solo che sono più veloci e non c’è mascherina o gel disinfettante che possa contenerle e alla nostra tavola possono essere più di sei e non hanno orari, ma non sono letali se non siamo noi a tramutarle in azioni che possono arrecare danno.

Nessuno può imporre alla nostra mente di non pensare e al nostro cuore di non sentire: qualsiasi limitazione in questo senso non fa altro che ottenere l’effetto contrario, si pensa e si sente con più intensità e si è quindi poi portati ad agire in linea con quanto si pensa e si sente con più forza oppure si cede riconoscendosi in una posizione di svantaggio.

Il libero pensiero è però quella cosa che non ci sottometterà ad argomentare o sostenere necessariamente quello che i mass media in ogni forma hanno deciso che oggi argomenteremo o sosterremo, pur non sapendone nulla, né noi, né loro; che quantomeno però sanno consapevolmente di poter deviare l’attenzione e lo scelgono, poche eccezioni a parte. Mentre noi ci crogioliamo nell’ignoranza a suon di like compiacenti o di sterili polemiche gli uni contro gli altri, senza avere la consapevolezza necessaria per una visione di insieme che ci unisca invece che dividerci.

Osservo la gente in strada, metà del volto coperto dalle mascherine, gli slalom per non essere troppo vicini o al contrario la noncuranza per le distanze; osservo la paura di alcuni, la tracotanza di altri, la stanchezza di tutti dopo 8 mesi in questo film di fantascienza soft che stiamo vivendo e banalmente non mi piace per niente la velocità con la quale ci si adegua o la violenza con la quale ci si ribella.

Ma la nuova normalità non è altro che la prosecuzione della vecchia, dove era utile indebolire il sistema sanitario, creare contrapposizioni politiche e sociali, massimizzare il rapporto con il proprio smartphone, pc o tablet a scapito della persona umana che avevamo di fronte.

Nulla è nuovo, se non l’intensità con la quale ci direzioniamo o forse meglio dire siamo direzionati verso un futuro in cui ci dicono da anni, con i fatti a scapito di ogni parola, che individualismo e precarietà sono gli obiettivi da raggiungere.

Se la speranza, come si dice, è l’ultima a morire, speriamo né di Covid né con il Covid, anche se al momento è in terapia intensiva.

Vignetta di Pietro Vanessi ©

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