Qualcuno, prima o poi, dovrebbe scrivere un trattato per fare un’equiparazione ragionata e articolata tra i social network e l’ignoranza intesa non in senso dispregiativo, ma come semplice mancanza di conoscenza. Ignorante non è una parolaccia o un termine necessariamente negativo, ignoriamo tutti qualcosa, siamo tutti ignoranti. Apprezzo chi ammette la propria ignoranza, sono guardingo verso chi esibisce il proprio sapere invece di sforzarsi di farne stimolo per l’apprendimento. L’ignorare ci accomuna molto più del conoscere, inevitabilmente sono molte più le cose che non conosciamo che quelle che conosciamo, anche se spesso ci atteggiamo e comportiamo come se fosse vero il contrario.

La maggior parte della gente non riesce a trattenersi dall’esporre le sue idee, indipendentemente dalle competenze nel farlo, questo è vero online, ma ormai se ne ammirano risultati anche offline, in quanto vuoi che quello che mi tocca la pancia in rete non possa non farne partecipe anche le mie relazioni non virtuali?

Siamo il popolo delle informazioni non richieste (multinazionali della rete a parte, che sulla rarefazione del privato hanno costruito i loro immensi guadagni), gettate in pasto ai social e nel sociale, che sanno di inutile o semplice sfoggio narcisistico fermo restando che c’è sempre chi avrebbe tutto il diritto e le conoscenze per esprimersi o comunque sarebbe in grado di virgolettare ogni sua espressione, ma parliamo di una minoranza. Conforta sapere che le minoranze, proprio perché tali, si distinguono da una maggioranza omologata, anche se ciò implica per loro un certo grado di caparbietà e solitudine.

La tentazione di non parlare più di livello d’istruzione, ma solo di “livello distruzione” c’è e non è solo un simpatico gioco di spazio e di accenti. Abbiamo appena lanciato le scuole dei banchi mobili e della scolarizzazione immobile d’ altronde. I social hanno reso la vita di molti un palcoscenico, pudore ed intimità da valori sono diventati orpelli di un vecchio modo di fare che non coincide più con il nostro modo di essere.

Da adulto, tengo particolarmente cari i ricordi della vita pre-internet, tutto quello che oggi sembra impossibile senza uno smartphone, in passato, da ragazzo, non mi mancava, non ne sentivo il bisogno o potevo comunque provvedervi in altro modo senza problemi. Chi è ragazzo oggi non avrà ricordi senza la connettività, potrebbe faticare maggiormente a riflettere su eventuali mancanze nelle connessioni relazionali vere. La parola “connessione” esisteva nella lingua umana ben prima dell’avvento di internet e non aveva nulla di virtuale, bensì oserei dire era un qualcosa che richiamava spesso lo spirituale.

Non è il solito discorso contro la tecnologia e il progresso, o forse anche sì, fate voi, però a me serve e lo scrivo per non dimenticare. Cosa? Che oggi possiamo fare tante cose prima inimmaginabili e molte di queste sono buone, ma che le potenzialità di quel che faccio possono dipendere dai tempi e dallo sviluppo del momento storico che vivo, ma che le potenzialità di quello che sono dipendono solo da me. Posso utilizzare quel che sono ancora meglio di quel che faccio.

Articolo Precedente

Nessun Jonathan Galindo deve impadronirsi delle emozioni dei nostri figli. Bisogna educare all’uso della rete

next
Articolo Successivo

“Da ingegnere biomedico avevo un ottimo stipendio. Ma ho lasciato il mio lavoro per l’assistenza domiciliare”

next