Sembra passato un secolo da quando le Regioni chiedevano di tornare in classe senza mascherina anche per i bambini dai sei anni in su, senza alcun ingresso scaglionato, senza plexiglas. Eppure era giugno. Sono trascorsi solo quattro mesi e i governatori hanno cambiato rotta. Campania, Puglia, Sicilia, Piemonte e Umbria hanno deciso di adottare il 100% della didattica a distanza per le scuole superiori. Non solo, Vincenzo De Luca ha scelto di lasciare a casa anche i bambini della scuola dell’infanzia, della primaria e delle medie, mentre Michele Emiliano, senza nemmeno consultare l’Ufficio scolastico regionale, ha deciso di passare alle lezioni online anche per tutto il primo ciclo.

Molte Regioni, di fronte ai dati bassi dei contagi a scuola (3,8% di tutti i nuovi i focolai in cui è stato segnalato il contesto di trasmissione) confermati dall’Istituto superiore di Sanità e dalla ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, vogliono mandare bambini e ragazzi a casa senza pensare alle conseguenze di questa scelta: genitori costretti a lasciare il lavoro e aumento della dispersione scolastica.

Un’inversione di marcia netta rispetto ai mesi scorsi. Il 13 giugno, proprio la Conferenza delle Regioni inviò alla Azzolina un documento nel quale chiedeva un rientro soft per gli allievi. Nell’atto sul tavolo della ministra si escludeva la possibilità di fare ingressi e uscite scaglionate per non creare caos nelle città e nei trasporti. Dalle Regioni arrivò un’altra proposta: ingressi e uscite allo stesso orario ma distanziati di un metro.

Altra questione tanto dibattuta per tutta l’estate: le mascherine. In quel documento i Governatori chiedevano che oltre a non usare i dispositivi di protezione individuale alla scuola dell’infanzia, non si dovessero adoperare anche per gli allievi dai sei anni in su.

Per le Regioni si sarebbero dovute mettere solo negli spazi comuni e al suono della campanella d’inizio e fine giornata. Nulla di più. Elena Donazzan, assessore regionale all’Istruzione in Veneto (riconfermata), il 20 di agosto diceva: “Tenere la mascherina durante le lezioni è una tortura. Noi siamo fortemente contrari e faremo di tutto perché questa non sia una regola per i nostri ragazzi”.

Oggi sono cambiate le carte in tavola. Il presidente De Luca ed Emiliano hanno scelto di chiudere immediatamente le scuole e gli altri colleghi hanno optato per una didattica a distanza totale per le scuole superiori e ora vorrebbero passare a maggiori restrizioni senza ascoltare gli appelli della ministra dell’Istruzione che continua imperterrita a chiedere di non chiudere le aule per non lasciare i ragazzi in strada.

Ancora sabato, mentre era in corso a Palazzo Chigi un braccio di ferro proprio sulla chiusura delle scuole, l’inquilina di viale Trastevere scriveva sul suo profilo Facebook: “Tenere le scuole aperte significa aiutare le fasce più deboli della popolazione. Significa contrastare l’aumento delle disuguaglianze, un effetto purtroppo già in corso a causa della pandemia. Significa tutelare gli studenti, ma anche tante donne, tante mamme, che rischiano di pagare un prezzo altissimo. In mezzo a tante incognite, una certezza c’è: la chiusura delle scuole non produce gli stessi effetti per tutti. La forbice sociale si allarga, il conto lo pagano i più deboli. Ci sono poi territori in cui la chiusura delle scuole è sinonimo di dispersione scolastica”.

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