In Veneto, Liguria e Piemonte serve un’autocertificazione firmata dai genitori, in quasi tutte le altre Regioni ci si basa “sulla fiducia reciproca”, a meno che il bambino non fosse in quarantena. In Sicilia il certificato si porta dopo dieci giorni, nel Lazio dopo cinque. Sull’anno scolastico si affaccia una nuova incognita: quella dei certificati medici per il rientro a scuola dopo le assenze. A pochi giorni dall’inizio delle lezioni è già caos sulle assenze dei bambini, ma soprattutto sulle modalità del loro rientro in aula. Le parti in gioco sono tante: il ministero della Salute che non ha ancora emesso con chiarezza delle linee guida unitarie, quello dell’Istruzione che deve fare i conti con presidi e maestri che vogliono vederci chiaro e desiderano i certificati, i pediatri che chiedono tamponi immediati e referti veloci e le Regioni che hanno regole diverse per la riammissione degli studenti sospetti. E infine, ovviamente, le famiglie che sono confuse.

A intervenire sulla questione è il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli: “Secondo il Decreto ministeriale 80/2020, nella scuola dell’infanzia, dopo un’assenza per malattia superiore a tre giorni la riammissione a scuola sarà consentita ‘previa presentazione della idonea certificazione’ del pediatra di libera scelta o del medico di medicina generale ‘attestante l’assenza di malattie infettive o diffusive e l’idoneità al reinserimento nella comunità scolastica’. Nulla è previsto per gli altri ordini di scuola. È opportuno che le istituzioni scolastiche sappiano per tempo come comportarsi”. Giannelli chiede quindi che ci sia un obbligo di certificazione per tutti sopra i tre giorni di malattia: “Senza certificato il ragazzo non può tornare a scuola”.

Le autocertificazioni in Veneto, Liguria e Piemonte – Intanto, ogni Regione ha preso la sua strada. Oggi in Veneto, Liguria e Piemonte è sufficiente avere l’autocertificazione dei genitori con preventivo via libera del pediatra. Mamme e papà possono scaricare i moduli da diversi siti. In Liguria, ad esempio, il documento si trova sulla piattaforma del sistema sanitario regionale. Si tratta di un foglio dove vi sono riportati i dati anagrafici del genitore e dello studente e dove vi è scritto “di aver sentito il pediatra di famiglia o medico di medicina generale il quale non ha ritenuto necessario sottoporlo al percorso diagnostico-terapeutico e di prevenzione per Covid-19 come disposto da normativa nazionale e regionale e chiede pertanto la riammissione presso la scuola o il servizio educativo dell’infanzia”. Nell’eventualità in cui l’assenza sia dovuta a provvedimento di quarantena, disposto dal dipartimento di prevenzione, il rientro a scuola è possibile a seguito di comunicazione del dipartimento al referente scolastico Covid-19, senza alcuna attestazione del medico, né autodichiarazione da parte della famiglia.

Le Regioni che non richiedono certificati – Altra storia in Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Umbria e Marche: in caso di malattia che non sia Covid accettano il rientro senza certificato e senza autodichiarazione, puntando sulla “fiducia reciproca alla base del patto di corresponsabilità fra comunità educante e famiglia”. In caso di tampone negativo, invece, si deve produrre un certificato di rientro in cui deve essere riportato il risultato del tampone. La Lombardia lo ha ribadito in un documento emanato la scorsa settimana: “Se il pediatra – spiega a ilfattoquotidiano.it l’assessore al Welfare Giulio Gallera – non ritiene di far fare il tampone, non serve alcun certificato. Il bambino può rientrare a scuola come si è sempre fatto”.

Nelle altre regioni resta in vigore il vecchio certificato dopo i cinque giorni di assenza mentre in Sicilia l’obbligo scatta dal decimo giorno. Diversa la situazione nel Lazio: la Regione ha ripristinato l’obbligo del certificato dopo tre giorni di assenza per i bambini del nido e della scuola dell’infanzia mentre per gli studenti degli altri ordini e gradi di scuola serve dopo cinque giorni. Alla misura in questione si è arrivati dopo un incontro tra la Asl di Pescara e i dirigenti scolastici, che si è svolto martedì e nel corso del quale gli esperti sanitari hanno fornito ai presidi indicazioni ed istruzioni per la riapertura delle scuole. Tra le eccezioni c’è anche il caso di Pescara e provincia dove alcuni dirigenti scolastici hanno emesso circolari che chiedono il certificato del pediatra anche dopo un solo giorno di assenza.

I pediatri: “Il problema sono i tamponi” – A chiarire la questione è il presidente della Federazione italiana medici pediatri: “La scuola e i pediatri devono parlare la stessa lingua per non creare caos tra i genitori. Siamo di fronte a una difformità di messaggi che non fa bene a nessuno. Intanto dobbiamo precisare che un raffreddore – o meglio una rinite, non due starnuti – la febbre oltre i 37,5; la tosse e la gastroenterite – non un mal di pancia – sono sintomi di sospetto Covid. In questi casi, anche se si pensa che si tratti di un’altra malattia e non del virus, va fatto il tampone”.

Il vero problema non è quello dei certificati ma quello dei tamponi: “A oggi in Italia tra il momento in cui il pediatra lo richiede e quello in cui riceve il referto – spiega il presidente, Paolo Biasci – passano quattro-cinque giorni. Un tempo eccessivo per un test dove servono quattro ore per avere la risposta. Basta andare in un qualsiasi pronto soccorso per rendersene conto. Si parla di tre, cinque, dieci giorni per il certificato ma se ho il risultato di un tampone nel giro di 36 ore, sono in grado di attestare la guarigione o meno del paziente anche prima. Le risorse non sono state investite per effettuare i tamponi in tempi rapidi. Siamo stati inascoltati ora scoppierà il caos”.

Secondo Biasci, inoltre, basterebbe un attestato al posto di un certificato: “Nel primo caso dichiaro che il bambino ha fatto un percorso seguendo le indicazioni del ministero della Salute e non serve che il paziente torni in studio da me. Per il certificato invece è necessaria un’ulteriore visita”. Il presidente della Fimp se la prende anche con le Regioni: “Ho visto come sono le autodichiarazioni dei genitori. Viene persino riportato da mamma o papà quello che il medico avrebbe detto. Si rende conto? Siamo alla follia”.

Le indicazioni dell’Iss – A proposito della questione certificati Franco Pisetta, segretario del Veneto della Fimp ricorda che una linea comune a tutti è stata data dall’Istituto superiore di Sanità: “Nel caso di positività al Covid è stato stabilito che, dopo il doppio tampone negativo, il bambino sia riammesso con attestazione del pediatra e certificazione dell’Asl. Nel caso di tampone negativo e altra malattia serve l’attestazione del pediatra che dimostri il percorso diagnostico fatto e l’avvenuta guarigione. Infine, se il bambino si rompe un braccio non serve alcun certificato”.

Villani (Sip): “Questione da normare al più presto” – Sulla vicenda è molto chiaro anche il presidente della Società italiana di pediatria, Alberto Villani, membro del Comitato tecnico scientifico che al fattoquotidiano.it spiega: “La richiesta dei presidi è legittima. Così hanno ragione i pediatri quando dicono che si può fare una certificazione che dichiara che quel bambino, in quel momento, non ha malattie infettive ma non si può escludere il Covid senza un tampone. A rendere più articolata e complessa la situazione è l’autonomia regionale. La questione va normata al più presto ma serve la compartecipazione di tutti in questa fase. Ora la speranza è nella diagnosi attraverso la saliva, usufruendo di una metodica rapida e attendibile”. Villani in ogni caso ribadisce: “Il ruolo del pediatra e la sua conoscenza del paziente ora è fondamentale. Va detto comunque che la scuola resta un luogo sicuro grazie al rispetto delle regole”.

I test antigenici in Veneto (che i pediatri non possono usare) – E sui tamponi c’è da segnalare il caso del Veneto: la giunta di Luca Zaia ha dato il via libera ai test rapidi. A differenza dei tamponi nasofaringei che rilevano l’Rna del virus e che necessitano di 24-48 ore per essere processati da un laboratorio, i tamponi rapidi danno risposta nel giro di pochi minuti. Sono definiti “antigenici” perché cercano le proteine del virus, cioè gli antigeni, sempre nelle secrezioni respiratorie. Il prelievo avviene con dei bastoncini infilati nelle narici e nella faringe come nel caso di un tampone “classico”. Una soluzione, quella dei test rapidi, che per ora i pediatri non possono utilizzare: “La scelta del tampone – spiega Pisetta – è nostra ma noi ci dobbiamo attenere alle indicazioni del ministero della Salute e dell’Istituto superiore di Sanità che ad oggi ci indicano di usare il molecolare. Ben venga il test rapido, ma potremo usarlo quando sarà validato”.

Pisetta, inoltre, ci tiene a chiarire un aspetto: “I pediatri non sono impazziti a chiedere tamponi per tutti. Ma se prima di fronte ad un raffreddore non c’era alcun bisogno di un esame, ora, in questa situazione di pandemia abbiamo il dovere di farlo anche perché in età pediatrica i sintomi del coronavirus sono uguali e sovrapponibili ad altre infezioni banali”.

Anche Domenico Crisarà, segretario in Veneto della Federazione dei medici di famiglia, auspica l’uso di test rapidi: “Presto saranno forniti anche a noi. Stiamo lavorando in quest’ottica con la Regione. Averlo in borsa è molto utile perché ci permetterebbe di fare una valutazione in pochi minuti evitando di fare il tampone molecolare a tutti. Non solo. Se verrà dato ai medici di famiglia i pazienti potranno evitare le code ai distretti sanitari”.

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