di Andrea Marchina

Indipendentemente dall’esito finale del prossimo referendum, è cosa indubbia che l’iter legislativo e la recente campagna referendaria siano stati tutt’altro che lineari e di facile comprensione per chi della logica ha ancora una minima considerazione. D’altra parte, visti gli attori coinvolti, mi sarei stupito del contrario. Sono due gli indizi che fanno di questo referendum il tipico caso del trucco che c’è, e si vede pure.

Primo indizio. Come sappiamo, per vedere approvata una riforma costituzionale senza passare dal parere popolare, i voti favorevoli in Parlamento non solo devono rappresentare la maggioranza assoluta di entrambe le Camere in tutte e quattro le votazioni previste, ma nelle ultime due è necessario che questi raggiungano i due terzi dei componenti di Camera e Senato.

A questo proposito, è curioso il comportamento di alcuni partiti. Il Pd si oppone alla riforma nelle prime tre letture (febbraio, maggio e luglio 2019) per poi votare a favore dello stesso identico testo in ultima lettura alla Camera (ottobre 2019). Tutto merito dei correttivi al taglio inseriti nel nuovo accordo di governo, sicuramente non della metamorfosi in tempi record che li ha visti passare da strenui oppositori dei 5Stelle a fedeli alleati degli stessi. Metamorfosi avvenuta – guarda un po’ – poco prima dell’ultima votazione.

Fa ancor meglio Forza Italia. ‘Sì‘ alle prime due votazioni, astensione in terza lettura al Senato (una pausa non fa mai male), per poi rivotare ‘sì‘ alla Camera. Quel che basta per impedire il raggiungimento dei due terzi ma, allo stesso tempo, presentarsi favorevoli al taglio nell’ultimo passaggio decisivo. Chiaramente, in caso al referendum vincesse il ‘no‘, loro ci avevano provato.

La Lega di Salvini, seppur non in prima fila, non può fare a meno di partecipare a questa commedia. Votano ‘sì‘ in tutti i passaggi parlamentari in chiaro stato di trance, poi se ne rendono conto, si pentono e dolgono di averlo fatto, corrono a firmare la richiesta di referendum (con 9 senatori, insieme a 42 di Fi, 5 del Pd, 10 del Misto e altri 5) e confidano che gli elettori possano rimediare al danno.

Secondo indizio. La stampa nostrana, che notoriamente nulla ha a che fare coi partiti e la cerchia di interessi privati che questi spesso rappresentano, sceglie il silenzio più assoluto durante tutto l’iter parlamentare, per poi spuntare dal nulla in vista del referendum. Ovviamente a favore del pluralismo.

Infatti abbiamo i giornali cosiddetti di centro-sinistra (la Repubblica, La Stampa, L’Espresso, Il Messaggero, Domani), i liberali all’italiana (Il Foglio e Il Riformista) e quelli del centro-destra (Libero e il Giornale), tutti schierati come un sol uomo contro la riforma. Per combattere i populisti, l’antipolitica, l’antiparlamentarismo e salvare la democrazia. Roba da Nobel per la pace!

Intenzioni nobilissime, per carità, che non stonerebbero affatto se non si trattasse di una riforma identica a quelle volute dai moderati di centro-sinistra e centro-destra nelle ultime cinque legislature; se non fosse per il parere favorevole di esperti costituzionalisti del calibro di Onida, Carlassare, Zagrebelsky, Zaccaria, De Siervo e altri pericolosi antidemocratici; e se non fosse per l’enorme consenso che questa riforma raccoglie tra gli elettori, gli stessi che hanno dimostrato di saper dire anche ‘no‘ quando era il caso di farlo (2006 e 2016).

Insomma, un indizio è solo un indizio, due sono una coincidenza, e a noi ne manca almeno un terzo per poter lontanamente parlare di prova. Quindi rinunciamo a ogni sospetto e convinciamoci del fatto che il Pd ha cambiato idea per i correttivi, Forza Italia ha preso una sbandata, la Lega ha votato per quattro volte a sua insaputa, i nostri giornali ci salveranno dal nuovo regime, i loro editori sono solo editori e non hanno il minimo interesse a far traballare il governo, Onida&C. sono grillini e il popolo è bue. Buon voto.

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