Franco era arrivato alla festa alle 3 del pomeriggio, insieme ai suoi amici giunti dalle città di Manizales, Pereira, Cali, Pasto, per festeggiare il compleanno di un loro amico, a Samaniego. Alle 21 tutti ballavano, erano circa una quarantina. All’improvviso entrano quattro-cinque uomini, vestiti di nero, incappucciati e con i fucili in mano. Si scatena il panico. Molti fuggono cercando rifugio verso le montagne o il fiume, altri rimangono pietrificati e si buttano giù per terra. Gli incappucciati iniziano a gridare, insultare tutti e iniziano a sparare a caso. Così sono morti otto giovani sabato 15 agosto, nella provincia di Nariño in Colombia. Il terzo massacro di una settimana che ha visto uccidere solo giovani, spesso minorenni. Sabato 8 agosto è toccato a Cristián Caicedo e Maicol Ibarra, di 12 e 17 anni, che erano andati a consegnare a scuola a Leiva un compito che non potevano inviare per internet. Tre giorni dopo, la notte dell’11 agosto, a Llano Verde, quartiere di Cali, sono stati trovati i corpi di cinque adolescenti, tra i 14 e 15 anni, assassinati dopo essere stati torturati.

Massacri che hanno suscitato sdegno e commozione in tutto il paese, e che purtroppo non sono una novità in Colombia. Da inizio anno sono stati compiuti 43 massacri, che hanno causato la morte di 181 persone, tra campesinos, bambini, afro, indigeni, giovani, studenti, sportivi, tutti squartati, sgozzati, torturati. Dopo il massacro di Samaniego, il premier colombiano Ivan Duque ha aspettato una settimana prima di visitare il posto della tragedia e fare qualche dichiarazione, in cui ci ha tenuto a precisare che quelli avvenuti non vanno chiamati “massacri ma omicidi collettivi”, che “durante il suo governo stanno uccidendo meno persone che nel passato”, e che la colpa è del narcotraffico e terrorismo, la cui “violenza tra il 2010 e 2019 ha causato 189 omicidi collettivi, mentre tra il 2019 e 2020 solo 34”.

Certo, rileva il giornalista Juan Carlos Rincòn, del popolare canale internet di giornalismo satirico colombiano La Pulla, “è un po’ strano fare il confronto tra i dati di 2 anni e quelli di 8. In realtà uccidono persone tutti i giorni e nei primi due anni di questo governo le vittime dei massacri sono aumentate del 30 per cento. Duque ha dato la colpa al narcotraffico e a gruppi che vogliono riempire di attività illecite molte aree del territorio, proponendo come soluzione quella di ricominciare col glifosato (erbicida sparso per distruggere le piantagioni di coca, ndr), ma non è solo colpa della coca, serve che lo Stato appaia lì, che sia presente”. I dipartimenti di Cauca, Antioquia e Nariño sono quelli con più omicidi. “È vero, le zone dove sono accaduti i massacri sono dei corridoi fondamentali per far transitare la droga nel Centro America – aggiunge Rincòn – ma lì vicino ci sono anche le miniere illegali, progetti di mega estrazione, contrabbando, dissidenza delle Farc, presenza dell’Eln (Esercito liberazione nazionale) e bande criminali. Sono territori senza ospedali, scuole, privi di opportunità di lavoro, dove governa di tutto meno lo Stato. A Nariño per esempio non ci sono studi superiori, e molti finiscono reclutati”.

I massacri di quest’anno “sono tutti contro giovani, anche minori di età, tutti con lo stesso profilo e modalità. Se infatti i leader sociali vengono uccisi da soli o davanti ai figli, e quelli che lottano per l’ambiente assassinati in coppia, questi ragazzi vengono uccisi insieme. Dietro dev’esserci un disegno”, commenta al fattoquotidiano.it Maria Cuellar, originaria di Pasto, avvocato e ora docente di Cinema all’Università Jorge Tadeo Lozano di Bogotà. La presenza dei gruppi paramilitari in quelle zone copre il 90 per cento del territorio. A Nariño ci sono oltre 10 organizzazioni criminali, a Cauca si stanno disputando il territorio i dissidenti delle Farc, mentre l’Eln si appropria di municipi interi senza contare che diversi cartelli della droga minacciano la popolazione. E con la pandemia tutto è andato fuori controllo. I gruppi armati sono arrivati a imporre regole e orari sugli orari dei negozi, i prezzi del cibo, i trasporti, e il coprifuoco, a che ora si può muovere la gente, anche agli stessi impiegati comunali.

A ciò va aggiunto che le irrorazioni sui campi di coca con il glifosato negli anni hanno distrutto anche le altre coltivazioni e la natura intorno, gettando nella povertà intere famiglie. Nel 2015 lo Iarc (il Centro internazionale di ricerche sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità) lo ha classificato come “probabilmente cancerogeno” spingendo così lo stato colombiano a interrompere le fumigazioni aeree. Nel 2016, in base all’Accordo di pace tra le Farc e il governo, si è deciso che i contadini dovevano estirpare le piante di coca e partecipare ai programmi di sostituzione della coca. “Il problema è che non è stato fatto niente, e lo Stato è venuto meno alla parola data – rileva Rincòn – dicendo alle famiglie che si erano impegnate a smantellare la coca, che non c’erano più soldi. Nel sud del paese Duque ha abbandonato 63mila famiglie così, e lo stesso è avvenuto nel Cauca dove la metà delle famiglie non ha ricevuto un peso di quanto gli era stato promesso, né assistenza tecnica per fare il cambio di colture”. E tutto questo senza considerare “che è molto più economico e salutare per l’ambiente e la salute delle persone sostituire le coltivazioni di coca che irrorare le foreste col glifosato – commenta Cuellar -. Con il glifosato si distruggono foreste e coltivazioni e la gente si ammala. Non si capisce perché non vogliano investire nella sostituzione delle colture”.

Dare la colpa solo ai narcotrafficanti e ai terroristi per i massacri di quelle zone è quindi troppo semplicistico. Per l’opposizione, le ong e le associazioni una responsabilità importante nel fomentare queste violenze è il mancato rispetto degli Accordi di pace del 2016, che ha portato anche agli omicidi di difensori dei diritti umani, leader sociali ed ex combattenti delle Farc. Secondo i dati della Missione di verifica delle Nazioni Unite nel primo semestre del 2020 sono state uccise 41 persone coinvolte nel processo di reinserimento, con un aumento del 10 per cento rispetto allo stesso periodo del 2019. In totale dalla firma degli accordi sono stati assassinati 215 ex combattenti. E proprio alle violenze in questi territori sembra collegata la morte del cooperante italiano Mario Paciolla, che lavorava per la Missione di verifica degli accordi di pace delle Nazioni Unite. Avvenuta nella sua casa a San Vicente de Caguán, a pochi chilometri da Samaniego, è stata etichettata prima come suicidio. Col passare del tempo prende sempre più forma la pista di un omicidio legato alla fuga di notizie legata a un rapporto da lui scritto sul bombardamento del 29 agosto del 2019 contro l’accampamento di Rogelio Bolívar Córdova, alias Gildardo el Cucho, in cui morirono 7 bambini tra i 12 e 17 anni, che sarebbe stato usato per portare alle dimissioni lo scorso anno del ministro della Difesa Guillermo Botero.

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