Il silenzio dell’Onu, la fuga di notizie, i dissidenti delle Forze armate rivoluzionarie (Farc), le dimissioni di un ministro del governo colombiano. Sono gli elementi cardine che compongono il complicato puzzle del caso di Mario Paciolla, collaboratore delle Nazioni Unite trovato morto il 15 luglio nella sua casa a San Vicente del Caguán, a oltre 650 chilometri da Bogotà. Una morte inizialmente bollata come suicidio. Ma col passare del tempo prende sempre più forma la pista di un omicidio legato alla fuga di notizie legata a un rapporto che avrebbe portato alle dimissioni lo scorso anno del ministro della Difesa Guillermo Botero.

A indagare sul caso del 33enne, che alle spalle aveva una lunga esperienza internazionale, è il quotidiano colombiano El Espectador: Botero fu costretto a dimettersi di fronte al rischio di una mozione di censura in preparazione contro di lui in Parlamento, dopo un bombardamento dell’esercito in cui morirono sette minori, fra i 12 ed i 17 anni, legati ad un gruppo dissidente delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). E il rapporto al quale aveva lavorato Mario Paciolla insieme ad altri colleghi della missione Onu, e che doveva restare riservato, riguardava proprio quel bombardamento. Anzi, Paciolla “fu uno degli incaricati di verificare le circostanze del bombardamento”, avvenuto nel 2019 in Caquetá.

Il suo lavoro sarebbe stato però giunto ed usato dal senatore dell’opposizione Roy Barreras in un dibattito che mise il gravi difficoltà in Parlamento in ministro Botero, che si dimise il 7 novembre 2019. Le conclusioni della verifica, redatte da Paciolla e da altri dipendenti della missione Onu sugli accordi di pace, sarebbero giunte attraverso il responsabile Onu regionale, Raúl Rosende, nelle mani di Barreras, che ha decisamente smentito la versione. Il giornale sottolinea che per questo Paciolla “si sentiva in pericolo, tradito, usato, e arrabbiato con i suoi superiori, al punto da chiedere un trasferimento ad altra sede, mai ottenuto”. Paciolla aveva iniziato a parlare apertamente delle sue preoccupazioni proprio a novembre 2019, quando era rientrato in Italia per una vacanza: da allora, a seguito di attacchi informatici subiti anche dai suoi colleghi, aveva reso privato il suo profilo Facebook, cancellato i suoi tweet e chiesto a un amico di copiare il contenuto del suo pc. Anche alla famiglia Paciolla non aveva nascosto le sue preoccupazioni, tanto da volere al più presto rientrare in Italia. Doveva tornare il 20 luglio, aveva già comprato il biglietto. Ma cinque giorni prima è stato trovato cadavere.

El Espectador rivela poi che nella sede della Missione Onu a Bogotà “è stato trovato un mouse del computer di Paciolla che dipendenti delle Nazioni Unite, guidati dal capo della sicurezza della Missione nel Caguán ed ex militare a riposo dell’esercito colombiano, Christian Leonardo Thompson Garzón, hanno sottratto nel suo domicilio all’indomani della morte. Un accesso all’appartamento che era stato consentito da alcuni poliziotti colombiani, ora indagati per “ostacolo alla giustizia”.

Il dispositivo, si dice, “appare nell’inventario inviato alla famiglia della vittima che però finora non ha ricevuto assolutamente nulla”. Ciò che non si sapeva fino a oggi, sostiene la giornalista, “è che una prova tecnica realizzata da funzionari della Procura ha indicato che il mouse era impregnato di sangue, ma nonostante questo fu pulito e prelevato dall’Onu“.

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