La Newco Alitalia nasce sotto i peggiori auspici. Basti pensare che tra gli advisor incaricati dal Mef di elaborare il piano industriale ci sono dei manager che non sono riusciti a rimettere in rotta Meridiana fly e Air Italy, poi miseramente fallite. E si inserisce nella tradizione italica del pozzo senza fondo in cui gettare le imposte degli italiani per dire di avere una compagnia di bandiera.

Dopo gli oltre 12 miliardi spesi nell’ultimo decennio, senza contare i costi degli ammortizzatori sociali, ora sono pronti altri 3 miliardi per la capitalizzazione della futura compagnia di bandiera. A conti fatti ogni italiano dovrà quindi sborsare 50 euro (quindi una cena in un ristorante di discreto livello, somma decisamente superiore alla referendaria tazzina di caffè al banco) senza che vi sia stato alcun referendum su piattaforma digitale.

Come anche è un déjà vu l’auspicio, antico come un disco di vinile, del: “saremo competitivi, genereremo business e assicureremo discontinuità con le gestioni precedenti”. Con la freschezza della neofita, la ministra De Micheli dice che avere una compagnia è strategico. Ma non ci spiega il motivo. Peraltro in ottima compagnia: nessun suo predecessore ha fatto (o, se elaborate, hanno conosciuto ben presto il buio del cassetto di scrivania dicasteriale) delle serie analisi economiche.

Alitalia infatti è da metà degli anni ’90 del secolo scorso che va male. E andava male anche prima che iniziasse la pandemia (nel 2018 ha infatti chiuso i bilanci in profondo rosso e i passeggeri con destinazione o origine l’Italia per/da destinazioni straniere erano l’8,5%: di quale strategicità si parla?). E ora con la crisi Covid che colpisce tutta l’industria del trasporto aereo non si capisce proprio perché deva andare bene.

Nessuno più viaggia in aereo e per rendersene conto basta vedere le tariffe e le disponibilità delle low cost. Baloccarsi ora su designazioni di manager, esuberi e composizione della flotta (che significa le rotte su cui puntare) è completamente azzardato. L’anno prossimo poi ci sarà anche da pensare all’indebitamento in cui si troverà la maggior parte degli aeroporti nazionali (tanti costi fissi e pochi ricavi) e per tenerli in vita ci saranno da aprire i cordoni della borsa (pubblica). Così come tornerà a galla la pezza messa su Air Italy.

Ragionevolezza (e senso delle risorse pubbliche) vorrebbero decisioni più radicali (la vendita) senza se e senza ma. C’è solo da sperare che arrivi in soccorso del contribuente italiano la Direzione concorrenza della Ue e riporti coi piedi per terra il Governo. E soprattutto che i 3 miliardi siano alla fine destinati a infrastrutture per il trasporto che restino alle generazioni future e portino sviluppo.

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