Mosca si offre di mediare tra Cipro e Turchia per il caso gas nel Mediterraneo orientale, ma rischia di “favorire” l’amico Erdogan. Il dossier energetico relativo alle nuove perforazioni illegali che la Turchia intende effettuare al largo di Cipro si arricchisce di un nuovo capitolo. Come è noto, Ankara chiede una spartizione delle acque nella parte nord che ha occupato con la forza dal 1974. Il governo di Cipro, stato membro dell’Ue e riconosciuto a livello internazionale, risponde che i diritti dei turco-ciprioti sono garantiti dagli accordi esistenti inclusi nei precedenti cicli di colloqui di pace. Ma la possibile abbondanza di idrocarburi è diventata un catalizzatore che riporta in auge tensioni di lunga data nella regione, dopo che dal 1974 la parte nord di Cipro è stata occupata abusivamente da 50mila militari turchi che lì stazionano.

Perché in ballo c’è la geopolitica legata al nuovo gasdotto Eastmed? Perché il nuovo vettore a cui partecipano Grecia, Italia, Cipro e Israele condurrà il gas da Israele al Salento e sarà in concorrenza con il gas russo. Transita inoltre da quel fazzoletto di acque che Ankara rivendica: il rischio di una eventuale mediazione russa è che, visti i solidi rapporti economici russi-turchi, essa possa trasformarsi in una sorta di assist per Erdogan così come accaduto in Siria.

Ankara e Mosca sono legate da una serie di affari in corso, i cui equilibri potrebbero influenzare l’intera partita: sono iniziati i lavori per la prima centrale nucleare sul Bosforo realizzata dalla russa Rosatom; è in corso di realizzazione dallo scorso gennaio il gasdotto Turkish Stream, costruito da Gazprom e Botas, che va dalla stazione di Russkaya vicino ad Anapa nella regione russa di Krasnodar, fino in Turchia; si discute di un secondo acquisto turco del sistema missilistico russo S-400 che ha prodotto la crisi diplomatica Ankara-Washington per l’incompatibilità con gli F-35 americani, dal momento che la Turchia in quanto membro Nato non potrebbe acquistare armi dalla Russia.

Alla luce di questi elementi, è dunque probabile che il ruolo russo si tramuti da arbitro a favoreggiatore di una parte: potrebbe essere ventilato per Cipro il cosiddetto schema-Siria, ovvero una divisione fatta senza l’appoggio del diritto internazionale, ma solo con un accordo figlio dei desiderata dei più forti (e in attesa della voce Usa, che tarda a farsi sentire con efficacia a causa delle elezioni di novembre).

Parlando ieri con la stampa a margine della sua visita a Cipro invitato da suo omologo Nikos Christodoulidis, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ha messo l’accento sul ruolo della diplomazia. La Russia, ha osservato, considera inaccettabili i passi che porteranno a un’ulteriore escalation nel Mediterraneo sud-orientale. “Abbiamo ripetutamente chiamato tutte le parti. Saremmo pronti a contribuire a rapporti di buon vicinato nel caso ci venisse chiesto dalle parti interessate “. Per questa ragione, ha annunciato, la Russia ha firmato il piano di consultazione tra i ministri degli Esteri per il 2022 che contribuirà all’approfondimento del dialogo politico. “Continueremo i nostri contatti stretti e riservati a vari livelli. Abbiamo esaminato le prospettive per risolvere la questione di Cipro e ho ribadito la necessità di una soluzione equa, irrevocabile e duratura nel quadro delle Nazioni Unite”.

Queste le intenzioni. Al momento però i fatti dicono che Ankara non cessa di provocare come accaduto nuovamente nella città di Famagosta, contesa tra Cipro stato Ue e la Katekomena, la parte settentrionale occupata abusivamente dai turchi ma senza essere stata riconosciuta dalle istituzioni internazionali. Come osservato dal ministro degli Esteri cipriota Nikos Christodoulidis, si tratta di azioni contrarie alle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, di cui la Russia è un membro permanente.

“L’obiettivo di qualsiasi nuovo sforzo non può essere altro che raggiungere una soluzione globale al problema sulla base della federazione bi-zonale e bicomunitaria, come definita nelle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e in conformità con i principi del diritto internazionale e dell’acquis europeo”. Ma il comportamento provocatorio della Turchia, sia nei confronti di Famagosta che in relazione alle azioni destabilizzanti e illegali che continua a compiere nelle zone marittime della Repubblica di Cipro e in tutto il Mediterraneo orientale, rendono difficile l’intero sforzo, anche perché in violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982.

Sullo sfondo resta il fil rouge che lega a doppia mandata Ankara a Mosca, con alcuni contratti (in scadenza nel 2021) che prevedono in alcuni casi l’acquisto di gas russo ad un prezzo due volte e mezzo più alto rispetto al prezzo di mercato. La Turchia non potrebbe dire no alla mediazione russa, per due ragioni: sia perché di fatto è stata Mosca a favorire la spartizione siriana e libica con un ruolo centrale assegnato ad Ankara; sia perché più volte in passato proprio il peso specifico delle relazioni commerciali e geopolitiche Putin-Erdogan ha contribuito a cementare questa alleanza. Se da un lato a guadagnarci sarebbe la Russia, perché aumenterebbe la sua sfera di influenza nella già “amica” Cipro, dall’altro a perdere sarebbe la Grecia che vedrebbe in pericolo anche la sua Zona economica esclusiva che fa gola a Erdogan.

Per cui, al fine di guadagnare ulteriore profondità strategica (Libia, Siria, Egeo) e per ridurre al tempo stesso l’esborso eccessivo per il gas russo, Ankara sta immaginando di avviare un processo di cooperazione con altri Paesi del Mediterraneo orientale, come accaduto con Tripoli (ieri è precipitato un Mig-29 nei pressi di Sirte, controllata dal cosiddetto esercito nazionale libico di Khalifa Haftar). Ma rischiando così di procedere al di fuori della cornice classica rappresentata dal diritto internazionale e dai trattati, viste le numerose violazioni nelle acque cipriote e anche greche come accaduto recentemente nell’isola di Kastellorizo che la Turchia rivendica ma in contrasto con il Trattato di Losanna del 1923. Lo ha ribadito, ancora una volta, il ministro degli esteri greco Nikos Dendias: “Il dialogo sotto ricatto o minaccia, con la presenza di navi turche e navi militari sulla piattaforma continentale greca, è fuori discussione”.

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