Trovato in extremis l’accordo tra governo, Regioni ed Enti locali sui trasporti in vista della riapertura della scuola: la Conferenza unificata ha raggiunto un accordo sulla capienza dei mezzi all’80% dei posti, estensibile al 100% ove vi siano spostamenti al di sotto dei 15 minuti. La montagna ha partorito in ritardo un topolino dopo tanta attesa. In una nota il Mit spiega come per i trasporti locali la capienza non potrà andare oltre l’80%, pena sanzioni e multe.

Dopo le richieste delle regioni, le linee guida Cts approvate dal governo danno il via libera alla capienza con obbligo di mascherina a bordo e distanziamento tra i singoli posti sui mezzi pubblici. “L’obiettivo di permettere a tutti gli studenti di arrivare a scuola e di farlo in sicurezza può essere raggiunto”, dice una nota ottimistica del Mit.

Questo accordo però non tiene conto della tendenza ad acutizzarsi dei contagi in atto. Dal confronto/scontro Stato-Regioni sulle modalità di riapertura delle scuole e della ripresa dei servizi di trasporto scolastico e pubblico, per cittadini pendolari sono emerse pesanti lacune politico/decisionali. Il sistema dei trasporti non è in grado di assicurare più distanziamento a bordo e il carico al 100% sotto i 15 minuti può rivelarsi una trappola.

Il conto alla rovescia dell’apertura delle scuole ha fatto emergere sempre più il livello di inadeguatezza della gestione dei trasporti e di quella scolastica. Ma l’adozione di misure preventive per l’ingresso a scuola di milioni di studenti sconta inevitabilmente un handicap strutturale (la vetustà degli edifici scolastici, l’inadeguatezza delle aule), le carenze del personale docente e non, il “tourbillon” annuale delle supplenze e una grave sottodotazione di risorse pubbliche per il suo funzionamento. In Italia la spesa per il sistema educativo assorbe il 4,1% del Pil contro il 5,5 di Francia e il 5,7 dell’Inghilterra.

Nel comparto dei trasporti pubblici la situazione è ancora più grave per la cronica incapacità delle aziende di adeguarsi alle dinamiche della domanda di trasporto. Le aziende sia pubbliche che quelle private offrono servizi (orari e corse) pressoché immodificabili da decenni. L’ente pubblico che compra i servizi normalmente non chiede particolari “performance” se non quella di non avere proteste eclatanti. Le tariffe sono basse ma la qualità del servizio è normalmente scarsa tant’è vero che gli abitanti italiani percorrono in media su un mezzo pubblico 715 km/anno contro i 1.405 km/ anno dei francesi o i 1.330 km/anno degli austriaci. Insomma, è l’assetto dell’organizzazione aziendale che detta i servizi da svolgere, non la domanda di trasporto.

Prima c’erano le concessioni, ora i contratti di servizio, ma resta il fatto che da decenni si va avanti o con le proroghe degli affidamenti o con gli affidamenti diretti senza gara. I servizi sono condizionati dall’organizzazione dai vincoli contrattuali del personale, che anziché applicarli sulla domanda dei passeggeri si plasmano sulle esigenze dell’azienda, in questo senso si muovono anche le rigidità delle strutture scolastiche, spesso poco inclini ad armonizzare gli orari di inizio e fine lezione con i tempi della città.

Ma i condizionamenti sono dati anche dalla flotta di autobus che è la più vecchia d’Europa con tutti i tipi (piccoli, medi, grandi) di autobus a gasolio o a metano, poche volte elettrici. Depositi e officine manutentive sono mal collocati o inefficienti. Eppure la spesa per il TPL su gomma, a differenza della scuola, in Italia è, in rapporto agli abitanti, come quella tedesca o francese. Ma i risultati sono nettamente inferiori. In Italia le aziende non si piegano alla volontà dei loro proprietari (pubblici per la maggior parte) ma grazie alla condizione di monopolio in cui operano, quindi senza nessuno stimolo per essere più efficienti, condizionano negativamente gli obiettivi pubblici rappresentati da un debole regolatore.

Nel settore i soldi (contributi pubblici) girano alla grande. Chi non gira sono i servizi nelle periferie delle grandi città, nelle aree extraurbane e nei giorni festivi e nelle ore serali dove praticamente i servizi stanno scomparendo (ma la spesa pubblica rimane).

Pur avendo dei costi differenziati da nord a sud o dall’urbano all’extraurbano, la flessibilità delle aziende è insignificante, ed oggi che verrebbe richiesta dall’emergenza Covid-19 l’associazione delle aziende pubbliche (AssTra), risponde picche. Anzi, l’occasione diventa una nuova opportunità di ricatto delle aziende visto che hanno presentato un “position papier” dove si chiedono innanzitutto più contributi pubblici. Nonostante dal decreto “Cura Italia” le aziende abbiano avuto la conferma delle risorse programmate – nonostante i tagli delle percorrenze durante tutto il periodo della pandemia – e dopo abbiamo utilizzato a piene mani la cassa integrazione.

L’indicazione del Comitato tecnico-scientifico e del governo è rimasta quella dei carichi all’80% sui mezzi per assicurare un minimo di distanziamento. Per coprire il rimanente 20% di posti secondo l’AssTra servirebbero circa 19.400 autobus aggiuntivi e 31.000 conducenti per un costo complessivo di 1,6 miliardi di euro (previsioni sovrastimate). Il governo è stato comunque generoso concedendo 350 milioni per un improbabile quanto generico potenziamento dei servizi.

AssTra fa un’altra forzatura nel suo documento: la pretesa che l’eventuale incremento di offerta di trasporto avvenga attraverso sub-affidamenti da parte della società titolare della concessione. Ciò genera un evidente vantaggio della società titolare della concessione, determinato dal differenziale tra il contributo pubblico e il costo del servizio in subappalto, quest’ultimo inferiore al primo. Data l’eccezionalità della situazione, le stazioni appaltanti (Agenzie TPL, Enti locali) avrebbero tutti gli strumenti per attivare procedure di gara ad evidenza pubblica per affidare i servizi integrativi. Non solo, ma si vuole anche vietare che gli autobus privati adibiti al trasporto turistico inutilizzati vengano a dar man forte alle carenze aziendali.

Inutili si sono rivelate le agenzie della mobilità costituitesi in questi anni ma rimaste senza poteri di programmazione, di far gare e di promuovere l’integrazione tariffaria. Nei paesi d’Europa in cui la programmazione e il controllo dei risultati aziendali sono effettivi, con agenzie vere si fanno le gare, e quando li visitiamo i risultati si vedono.

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