Si riprenderà, non si sa quando e di certo continueranno le forme di protesta. Ma i giocatori Nba, dopo una seconda riunione seguita al boicottaggio deciso dai Milkwaukee Bucks mercoledì sera, hanno deciso che i playoff andranno avanti. Il sindacato degli atleti, guidato da Chris Paul e Andre Igoudala, è riuscito a ricomporre la situazione dopo la spaccatura del primo vertice tenuto nella “bolla” di Orlando dove le squadre sono chiuse da due mesi per l’emergenza coronavirus.

LeBron James e tutti gli atleti di Lakers e Clippers, squadre favorite per il titolo, avevano guidato la fronda dei più duri, dicendosi pronti a chiudere qui la stagione dopo i 7 colpi di pistola sparati da un agente di polizia contro Jacob Blake, rimasto paralizzato, e il duplice omicidio di due manifestanti in Wisconsin. Prima di riprendere le partite – anche quelle di stanotte verranno posticipate, come anche in Wnba – i giocatori hanno chiesto garanzie alla lega e ai proprietari delle franchigie sul totale appoggio a quelle che saranno le loro iniziative per i diritti civili degli afroamericani.

La decisione arriva dopo una giornata in cui, come hanno più riprese spiegato i reporter statunitensi, la Nba è stata davvero a un passo dal chiudere definitivamente la stagione, riorganizzata tra mille difficoltà dopo la diffusione della pandemia. Ed è arrivato l’attacco di Donald Trump: “L’Nba è diventata come un’organizzazione politica. E non penso che sia positivo per il Paese. Le persone sono stanche dell’Nba”, ha detto il tycoon aggiungendo che la Guardia nazionale “sta facendo un buon lavoro a Kenosha“, la città delle proteste. Il ragionamento dei cestisti sulla necessità di proseguire segue comunque una logica legata alla protesta: l’atto politico dei Milkwaukee Bucks è arrivato al culmine di un’escalation di tensione e ha acceso i riflettori sulle tante iniziative che dalla ripresa del campionato le squadre stavano portando avanti, avendo un’eco mondiale.

Chiudere tutto e proseguire in maniera individuale e slegata la protesta sul tema razziale avrebbe significato depotenziare il messaggio. Da qui – oltre che per ragioni economiche legate a stipendi e diritti tv in ballo – la decisione di ricomporre la situazione. Che non vuol dire stop alla battaglia, anzi. Il sindacato infatti tornerà a dialogare con i manager della lega e i proprietari dei club per assicurarsi il loro appoggio incondizionato a qualsiasi forma di protesta verrà portata davanti alle telecamere. Per questo motivo le tre gare previste nella notte tra giovedì e venerdì non si giocheranno, mentre è probabile che si torni in campo nella giornata di sabato.

Il messaggio dirompentee capace di dilagare subito in altri campi sportivi, dal baseball al tennis – ha sortito i suoi effetti. E ora toccherà ai giocatori, già supportati dagli arbitri che hanno sfilato nel campus durante la giornata, amplificarlo di partita in partita continuando a toccare le corde giuste. Il gesto dei Bucks e le parole di LeBron James, che senza nominarlo ha attaccato il presidente Trump, hanno anche provocato la reazione del genero dell’inquilino della Casa Bianca: “Hanno il lusso di poter decidere di non lavorare per una sera, la maggior parte degli americani non ha il lusso finanziario per farlo”, ha attaccato Jared Kushner, consigliere e genero del presidente di Trump, dalle colonne di Politico. “Il cambiamento non avviene solo con le chiacchiere. Succede con l’azione e deve accadere ora”, la risposta della stella dei Lakers prima che il presidente tornasse ad attaccare la Nba.

Proseguono intanto le indagini sul caso, scoppiato dopo una telefonata alla polizia per una disputa domestica. Ma gli inquirenti non hanno ancora spiegato perché l’agente Rusten Sheskey, in servizio da sette anni, ha sparato sette colpi alla schiena dopo i inutili tentativi di fermare Blake col taser. “Aveva ammesso di avere un coltello”, spiegano, ma è stato ritrovato dopo sotto il pianale della vettura. Due agenti coinvolti sono stati sospesi ma per ora non incriminati, mentre il dipartimento di Giustizia ha avviato un’indagine parallela condotta dall’Fbi sulla violazione dei diritti civili. Molti anche gli interrogativi anche su Kyle Rittenhouse, il 17enne arrestato per gli spari alle proteste. I suoi profili social lo identificano come un fan delle armi e delle forze dell’ordine, che aveva partecipato ad un comizio di Trump in gennaio e che si considerava un membro di una milizia votata a proteggere la proprietà. Restano gli interrogativi su come sia entrato in contatto con quel gruppo, chi lo ha armato con un fucile e perché arrivava in Wisconsin.

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Perché il boicottaggio Nba è una scelta storica: dai Giochi di Hitler al Mondiale del ’78, tutte le volte in cui lo sport ha solo minacciato lo stop

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