Un equilibrismo“. Così Fabrizio Pregliasco, docente di Igiene all’Università di Milano e direttore sanitario dell’Irccs, definisce la riapertura delle discoteche all’aperto. “Il comitato tecnico scientifico non era d’accordo, aveva espresso cautela – spiega al fattoquotidiano.it – La scelta è stata frutto di un compromesso, e comunque dipende dalle Regioni”. Una soluzione da veri funamboli, tra il rischio sanitario e le necessità economiche di un settore in crisi. Ma le immagini di questi giorni – piste affollate senza nessun distanziamento e mascherine al polso, quando va bene – hanno sollevato molte polemiche, tanto che molti club sono stati costretti a chiudere dopo i controlli. “Ho visto video aberranti“, commenta il virologo.

Il semplice fatto di non avere un tetto sopra la testa è una condizione necessaria, ma non sufficiente, per riaprire: “Al chiuso si concentrano le goccioline mentre la ventilazione aiuta a disperdere il droplet, il veicolo di contagio. Ma dipende anche da cosa fai all’aperto: un conto è un concerto di musica classica, dove le persone sono sedute, ferme e in religioso silenzio. Possono starci anche mille persone. Un altro è che quelle mille persone urlano e si avvicinano tra loro, come accade in discoteca”. La prossimità, il contatto fisico, il fatto di cantare a squarciagola, il respiro più intenso per il movimento e il ballo: sono tutti fattori cruciali.

I dati dimostrano che l’età media è drasticamente calata, passando da 68 anni a meno di quaranta. Ma non dipende solo dal fattore movida.”Ora siamo più capaci di individuare i casi – spiega Pregliasco – prima facevamo i tamponi solo ai sintomatici, che generalmente erano persone adulte o anziane. Di giovani con il Covid ne avevamo visti pochi perché statisticamente la sintomatologia era meno grave, quindi spesso erano invisibili. Ma l’indagine Istat ha dimostrato che il 27% di chi contrae la malattia è asintomatico: individuarli ha fatto abbassare la media dell’età”.

Pregliasco si dice “complessivamente ottimista” nella gestione dei casi: sia per la capacità territoriale di individuare i nuovi focolai, sia per l’impegno della cittadinanza. “Una seconda ondata ci sarà se falliranno questi due elementi. Nuovi focolai erano attesi, la differenza la farà la capacità di controllarli“. In questo momento, spiega, le situazioni a rischio focolaio sono almeno quattro: i luoghi di lavoro (specialmente macelli, agricoli e spedizionisti) i contesti degradati e di promiscuità, come quelli in cui vivono i migranti e i casi di importazione, come quelli “di chi rientra dalle vacanze da mete come la Croazia. Il quarto fattore di rischio potrebbe diventare la movida“.

Per questo è necessario insistere con le misure di sicurezza, troppo spesso disattese. La mascherina, secondo Pregliasco, deve diventare come gli occhiali da sole: “La si deve avere sempre con sé e indossare quando serve, cioé al chiuso e con altre persone”. Le regole sono poche e semplici: anche la distanza interpersonale è fondamentale. “Le persone tendono a salutarsi come prima, a offrire la mano: anche a me capita spesso. Ma anche quel semplice bacio di sfuggita sulle guance può rappresentare un rischio”.

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