“Se non collabori, se non mi dai lavoro, in un modo o nell’altro ti frego e ti rimando in Brasile“. Sarebbe questa una delle minacce rivolte a una transessuale di Piacenza dal maresciallo Marco Orlando, finito agli arresti domiciliari per il suo coinvolgimento nel presunto “sistema criminale” messo in piedi nella caserma di Levante. La donna, una brasiliana che vive da tempo in città e si fa chiamare Francesca, ha chiesto ai magistrati che indagano sui carabinieri di essere sentita come persona offesa. “Sono stata minacciata più volte” nel corso dell’ultimo anno e mezzo, ha riferito tramite il suo avvocato Elena Concarotti, sostenendo di essere stata obbligata a fare sesso e pure di essere stata picchiata all’interno della caserma.

Una testimonianza che, se confermata, rafforzerebbe il ritratto fatto dal gip su ciò che accadeva tra le mura dell’edificio in via Caccialupo, teatro di “fatti gravissimi” dove si davano “schiaffoni come in Gomorra. Nelle 326 pagine di ordinanza cautelare non si parla solo dello spaccio di droga e dei falsi arresti, ma anche di “festini a base di stupefacente” organizzati dai carabinieri, “ai quali partecipavano diverse prostitute, tra cui un transessuale”. È Peppe Montella, considerato dagli inquirenti il dominus della caserma nonostante sia solo un appuntato, a raccontare uno di questi episodi in una conversazione intercettata con un altro carabiniere, Salvatore Cappellano.

“Quella sera due gliene ho fatte trombare, lei e quell’altra”, racconta Montella riferendosi al collega Falanga. “Si è visto due fighe e non sapeva quello che cazzo fare (frase tradotta dal dialetto, ndr)”. È probabilmente in suo onore che, scrive il giudice, “era stata organizzata una serata all’interno della caserma alla presenza di due donne, presumibilmente escort, con le quali erano stati consumati rapporti sessuali”. Lo scenario, commenta il gip, “è quello di un’orgia” avvenuta nella stanza del comandante Marco Orlando, “dove si era creato tale scompiglio che le pratiche sulla scrivania erano finite sparpagliate a terra”. Le urla delle due donne avevano pure infastidito qualcuno creando delle “lamentele”. Un comportamento in cui “non sono forse ravvisabili reati”, ma da cui traspare – conclude il gip – “il totale disprezzo per i valori della divisa indossata dagli indagati, metaforicamente gettata a terra e calpestata, come quella del loro Comandante durante il festino appena rievocato”.

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