I picchiatori del regime di nuovo in azione in Egitto: bande di criminali al soldo del potere, arruolate per compiere il lavoro sporco e reprimere soggetti e fenomeni scomodi. Baltagiya è un termine arabo il cui senso si è modificato nel tempo passando da ‘sicario’ a ‘teppista’ o ‘banda criminale’. Termine tornato alla ribalta di recente con l’aggressione di una settimana fa a Leila Seif e alle due figlie, Mona e Sanaa, davanti alla prigione di Tora, dove il figlio e fratello Alaa Abdel Fattah è recluso dal 29 settembre scorso.

All’alba del 23 giugno un gruppo di donne in abiti civili ha avvicinato la madre e le sorelle di Abdel Fattah, impegnate in un presidio fisso all’esterno dell’istituto di pena, iniziando a molestarle per poi picchiarle selvaggiamente e rubare i loro effetti personali. Donne sconosciute, mai viste prima, come hanno confermato le stesse vittime di quell’aggressione. Un raid a tutti gli effetti, portato avanti con violenza e premeditazione.

“Tutti lo sanno, quelle donne non sono semplici passanti che si trovavano lì, fuori dal carcere, per caso. Si tratta di una banda organizzata, capace di svolgere un ruolo ben preciso con estrema efficacia potendo contare sulla totale impunità da parte della polizia e delle guardie penitenziarie, inermi davanti all’aggressione. Il nesso tra quell’episodio e l’entrata in azione delle Baltagiya è evidente”. Riccardo Noury è il portavoce di Amnesty International Italia, profondo conoscitore della complessa realtà egiziana e della concezione dei diritti umani del governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi. Sulla ritrovata operatività di queste bande fuori controllo lui non ha dubbi: “Il regime usa qualsiasi mezzo per mettere in atto una intimidazione di Stato – aggiunge Noury – Non è difficile reperire manovalanza per brutali azioni repressive in un clima generale di grande paura e di estrema povertà, dove le tensioni sociali non mancano. Il regime vede nemici dietro ogni figura, chiunque può passare in breve tempo da eroe a traditore della patria. Ed ecco spuntare le Baltagiya, composte da persone facilmente arruolabili, senza alcun legame ufficiale con gli apparati dello Stato, in grado di sostituirsi a polizia ed esercito per compiere simili azioni, ben sapendo che nessuno chiederà loro conto. In Egitto gli elementi in campo sono tanti sotto il profilo repressivo, polizia in divisa, sicurezza in abiti borghesi e questi gruppi violenti. Le bande sono spesso composte da donne, le stesse che mostrarono ostilità nei confronti dell’attivista Lgbt Sarah Hegazy, nel carcere di Qanater, dopo il suo arresto per aver sventolato la bandiera arcobaleno ad un concerto nel 2017 (poi morta suicida in Canada a metà giugno, ndr)”. Il rapporto di connivenza conviene ad entrambe le parti: gli apparati di sicurezza mantengono le mani pulite scatenando la violenza altrui e i banditi hanno i loro tornaconto. Quando non riesci a combattere il crimine la scelta più facile, seppur censurabile, è portarlo dalla tua parte.

In Egitto le Baltagiya non sono una novità, le tracce si perdono a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, ma con un senso diverso e meno politicizzato. I criminali venivano arruolati, formati e ben pagati per svolgere raid violenti al posto della polizia ufficiale. Col tempo le cose sono cambiate. L’esperimento ha trovato piena attuazione soprattutto nei mesi convulsi della Rivoluzione di Piazza Tahrir, tra il gennaio ed il marzo del 2011, quando le bande entrarono in azione infiltrandosi nel movimento di libertà che chiedeva la fine del regime dell’allora Rais Hosni Mubarak, morto nel febbraio scorso. All’epoca furono numerose le denunce di violenze sessuali nei confronti delle donne che manifestavano nella piazza principale del Cairo.

Senza dimenticare la famosa ‘Battaglia dei Cammelli’, avvenuta il 2 febbraio proprio a Maydan Tahrir, con un attacco sferrato sulla folla dalla polizia a cavallo a cui si erano unite le Baltagiya per completare il piano. La pratica si è ripetuta nel tempo, a partire dalla strage dello stadio a Port Said, nel febbraio del 2012, quando testimoni oculari accusarono gli apparati dello Stato di aver assoldato le Baltagiya per infiltrarsi tra le tifoserie. Il bilancio di quella folle notte fu di 73 vittime.

Si passa poi alla repressione dell’agosto 2013 nei confronti delle manifestazioni dei Fratelli Musulmani, specie quelle nelle piazze del Cairo, dove le Baltagiya ebbero un ruolo determinante. Da allora il fenomeno sembrava sopito, fino all’episodio ai danni di Leila, Mona e Sanaa Seif.

Maaty Elsandouby, esperto giornalista egiziano (si è occupato anche del caso di Giulio Regeni), è stato costretto a fuggire dal suo Paese nel 2017 ed oggi vive a Roma. Sulle Baltagiya ha qualcosa di interessante da aggiungere: “Spesso in mezzo a questi criminali ci sono anche agenti in borghese che coordinano le azioni. Io le conosco bene le Baltagiya, me ne sono occupato spesso in passato quando ero in Egitto. Il concetto è molto semplice, la polizia cerca informatori, ma anche persone disposte ad azioni violente contro obiettivi politici e civili. Il reclutamento avviene negli ambienti della malavita locale, tra ladri e l’area dello spaccio di droga. Criminali comuni e, nel caso dell’aggressione della settimana scorsa, anche prostitute che in cambio ottengono notevoli vantaggi”.

Criminali comunque, gente senza nulla da perdere e con tanto da guadagnare. Il profilo perfetto delle 530 persone in procinto di essere liberate dalle carceri nazionali in base all’indulto concesso dallo stesso presidente Abdel Fattah al-Sisi all’indomani della fine delle celebrazioni dell’Eid, alla fine di maggio: “Il regime libererà soltanto ladri e assassini, non ci sarà spazio per i detenuti politici, da Patrick Zaki ad Alaa Abdel Fattah e gli altri, tutti in detenzione preventiva e quindi, stando alle dichiarazioni ufficiali, senza i criteri di legge per godere del privilegio. Eppure per Zaki basterebbe che il presidente del Consiglio Conte alzasse la cornetta per chiamare al-Sisi”, conclude amaro Riccardo Noury.

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