“Se conosci Alex Zanardi e ne segui la vita spericolata, pensi a Erasmo da Rotterdam e al suo classico Elogio della follia. Alex è una rara, forse unica creatura del mondo dello sport che, ghermita dalla morte, dopo aver patteggiato con lei e averle ceduto le gambe, si è inventata tutte le vite possibili, con una carica di fede religiosa e di divina pazzia”.

Così iniziava un articolo di Candido Cannavò del 30 aprile 2008. L’ormai ex direttore della Gazzetta dello Sport, grande amico di Zanardi, gli dedicava un articolo dei suoi, sinceri, dando bonariamente del pazzo a un uomo che dopo aver sfiorato la morte era tornato a vivere come prima e più di prima diventando un testimonial della vita.

C’è un parallelo fondamentale fra l’oggi tragico e quei giorni di 12 anni fa. Alla Maratona di Padova, scrive Cannavò, “Zanardi lotta nelle immediate retrovie, si destreggia per non perdere le scie di chi sta davanti. Qualcuno lo urta: si rovescia una prima volta, si rialza ferito come può fare uno che non ha le gambe. Poi centra in pieno una buca alla velocità proibitiva di 42 chilometri l’ora. Sanguina da tutte le parti, il suo volto è una maschera rossastra. […] Il medico si avvicina e dice: Alex, ora andiamo a casa in ambulanza. Ma Zanardi, che lo adora, stavolta lo caccia via di brutto: Dottore, tu mi conosci: c’è mio figlio Niccolò all’arrivo, non posso tradirlo. Il trabiccolo è storto, ma si lascia spingere. E Claudio Costa, il medico santo, scoppia in lacrime. Se c’è un paradiso per i matti, Alex tra cent’anni ti aspetta un posto in prima fila”.

Questo pezzo di vita trascorsa scolpiva l’essenza di ciò che è il personaggio, l’atleta, l’uomo Zanardi. In esso c’è anche il motivo di tanto affetto piovuto addosso al campione di Castelmaggiore che lotta ancora una volta con lo stesso terribile avversario. La morte.

A chi gli diceva che fosse nato due volte Alex Zanardi rispondeva: “Io non sono nato due volte, le mie giornate sono il seguito di quelle di prima”. Realismo e incoscienza, o forse troppa coscienza del fatto che si fosse riallacciato alla vita per miracolo e quel miracolo dovesse onorarlo spingendosi al massimo, raccogliendo ogni sfida possibile, ogni giorno. Quasi come Icaro che con le sue ali di cera si spinse verso il Sole, precipitando, Alex con le sue braccia d’acciaio e il cuore d’oro ha sempre puntato al suo Sole, la normalità, conquistandola e facendola sembrare alla portata di tutti quelli messi alla prova dal destino.

Il destino, infame, ha voluto che un normale incidente possa portarsi via un esempio di vita come lui. Non smetterò di sperare come, immagino, praticamente tutta Italia. Se potessi bisbigliare al suo orecchio qualcosa sarebbero le sue parole dopo la caduta: “non posso tradirlo”. È proprio così, fallo per lui, per tutti noi, rialzati e taglia l’ennesimo traguardo. Il “paradiso dei matti” può attendere.

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