Il Covid-19 ha reso il mondo una grande Taranto. L’eterno nodo “salute-lavoro” dall’avvio dell’emergenza sanitaria che ha chiuso il mondo, non è più ormai solo una prerogativa tutta tarantina. In tutto il pianeta, infatti, ci si è interrogati per settimane per comprendere se la scelta migliore fosse restare chiusi in casa tempo indeterminato oppure uscire e tornare alla normalità imparando a convivere con il virus. Alla fine ha vinto il secondo, ma diciamoci la verità: il mondo lo ha scelto non perché non si potesse continuare a tenere la gente al sicuro, ma perché un lockdown più lungo avrebbe generato un collasso irreversibile del sistema economico. Ed è esattamente quello che per decenni è stato vissuto nella città dell’ex Ilva.

Gli operai, gli abitanti del quartiere Tamburi che dista pochi metri dalla fabbrica, l’intera cittadinanza ionica ha dovuto scegliere tra il rischio della malattia o la certezza della miseria. E la gente di Taranto, per il bisogno indotto dalla società, ha sempre scelto il rischio di ammalarsi: perché in fondo è una probabilità, qualcosa che potrebbe non accadere, un fatto che non aveva una certezza matematica. Ritrovarsi a fine mese senza uno stipendio, nelle condizioni di non poter rendere felici i propri figli a Natale era invece una matematica sicurezza. E così a Taranto la scelta è sempre stata la stessa. Fino a quando anche la malattia non è più diventata una probabilità, ma un’inquietante e gigantesca schiera di parenti, amici, colleghi volti uccisi dal tumore. Ecco, con le dovute proporzioni, il mondo ora si è trovato in questo punto: scegliere tra #iorestoacasa o #iorischioilcovid. E #andràtuttobene rassomiglia in modo macabro a quello che si ripetevano migliaia di giovani operai al loro primo ingresso nello stabilimento siderurgico più grande d’Italia.

Il 1 maggio su La7 è andato in onda il documentario “Uno Maggio Taranto Liberi e Pensanti” realizzato da Giorgio Testi, Francesco Zippel e Fabrizio Fichera che proprio a causa del Covid-19 ha celebrato il 7 anno del concertone che per primo ha portato sul palco il ricatto occupazionale di Taranto e di tante altre realtà italiane. Del Comitato Liberi e Pensanti ne è parte attiva anche Michele Riondino: nel prossimo episodio di “Red Zones“, in onda domenica 14 giugno su Sky TG24 alle 16:30 e in replica alle 21, l’attore pugliese metterà nuovamente in relazione la complessità della situazione mondiale con quella dell’Ex Ilva di Taranto. In una situazione, critica e profondamente delicata, che il mondo intero è chiamato ad affrontare, Riondino torna a parlare della situazione della nostra terra e ancora una volta del dubbio immorale che attanaglia la vita di noi tarantini. Nel quarto episodio di Red Zones, realizzato da Luca Vullo ed Emanuele Galloni, ci saranno numerose istantanee provenienti da tutto il mondo per raccontare le conseguenze psicologiche ed emotive post-Covid. Ci saranno tanti autori, sportivi, artisti ed esponenti del mondo del lavoro come Filippo Inzaghi, Giovanni Soldini, Anna Pettinelli, Danika Mori, Giusy Versace, Milton Fernández e Daniela Lucangeli. Ognuno racconterà un’esperienza che merita di essere ascoltata, ma per una volta lasciatemi essere egoista: concentratevi sulle parole di Riondino, sul modo in cui a Taranto si vive da 50 anni.

Scoprirete che #iorestoacasa a Taranto è un obbligo nei giorni di vento, quando le polveri della fabbrica invadono le case, i parchi, le scuole e le vita dei cittadini. Scoprirete che il “contagio” lo vivevano le nostre famiglie quando gli operai, dopo il turno di lavoro, portavano a casa le tute intrise di diossine, amianto, polveri e veleni. Forse vi stupirete quando vi accorgerete che, nonostante tutto questo, ancora oggi ci sono famiglie che pagherebbero perché un figlio o figlia possa essere assunta “all’Ilva”. Perché il ricatto sta tutto qui: costringere un intero territorio a pensare che non si possa fare a meno di una fabbrica vecchia e pericolosa che spingerà ogni giorno operai e cittadini a dover scegliere tra salute e lavoro, tra il rischio della malattia e la certezza della disoccupazione. Un virus che nessun vaccino, dopo quasi 60 anni, è riuscito a neutralizzare.

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