Il “Sistema Trani” aveva allargato il suo raggio di azione fino all’Ilva di Taranto. Ne sono convinti i magistrati della procura di Potenza guidata da Francesco Curcio che nell’inchiesta che ha portato ai domiciliari l’ex procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo, stanno ora interrogando una serie di persone per comprendere cosa sia davvero accaduto nel processo Ambiente svenduto dal 2016 in poi. In quell’anno, infatti, Carlo Maria Capristo lascia l’incarico a Trani per assumere quello di capo della procura ionica e da quel momento, sul processo ambientale più grande della storia della Repubblica italiana cominciano a cambiare volti e nomi. E se l’avvicendamento di legali in un procedimento penale complesso è normale, meno normale appare il fatto che gli avvocati che fanno capolino a Taranto siano in qualche modo legati al “sistema Trani”. Come l’avvocato Giacomo Ragno, nuovo difensore di Salvatore de Felice, uno dei dirigenti Ilva arrestato il 26 luglio 2012 in occasione del sequestro degli impianti. L’avvocato Ragno è conosciuto alle cronache per il suo coinvolgimento nell’inchiesta che ha portato in carcere i due magistrati di Trani Antonio Savasta e Michele Nardi: la procura di Lecce, il 31 gennaio scorso, ha chiesto per Ragno la condanna a 2 anni e 8 mesi di reclusione.

Ma soprattutto a Taranto sbarca anche Piero Amara, l’avvocato siciliano arrestato nell’inchiesta sul “sistema Siracusa” e coinvolto nell’inchiesta sui falsi depistaggi Eni creati per neutralizzare le inchieste dei magistrati milanesi. Su Amara e i suoi rapporti con il pm di Siracusa Giancarlo Longo indaga la procura di Messina, che ha iscritto nel registro degli indagati anche lo stesso Capristo per abuso d’ufficio: per l’accusa avrebbe inviato proprio a Siracusa un falso dossier Eni invece di inviarlo a Milano. Proprio Piero Amara arriva nel Palazzo di giustizia di Taranto come consulente della struttura legale di Ilva in As e partecipa alla cosiddetta “trattativa” con la procura per raggiungere quel patteggiamento che qualche anno prima, il pool di magistrati guidati allora da Franco Sebastio, aveva respinto. Lo staff legale dell’Ilva alza la posta offrendo il pagamento di una sanzione pecuniaria di 3 milioni di euro, 8 mesi di commissariamento giudiziale e 241 milioni di euro di confisca (invece dei 9 proposti nella prima istanza) come profitto del reato da destinare alla bonifica dello stabilimento siderurgico di Taranto. Ma i giudici della Corte d’assise ritengono “le pene concordate con i rappresentati della pubblica accusa” sono “sommamente inadeguate e affatto rispondenti a doverosi canoni di proporzionalità rispetto alla estrema gravità dei fatti oggetto di contestazione”.

Anche la Corte di Cassazione, pur rilevando che, la decisione come “viziata da errori di interpretazione”, conferma il “no” al patteggiamento. La procura guidata da Capristo finisce nel mirino degli ambientalisti soprattutto per aver modificato i capi d’accusa nei confronti della società Ilva e della sua controllante Riva Fire: sparisce dai capi d’accusa la somma di 8 miliardi e 100 milioni di euro che per la procura era il tesoro che i Riva negli anni avevano accumulato evitando di ammodernare gli impianti che avrebbero causato le emissioni velenose responsabili del disastro ambientale e sanitario del territorio.

Nel pool di pubblici ministeri, c’è anche l’ex procuratore aggiunto di Taranto Pietro Argentino, oggi procuratore a Matera. Di quella nomina fatta dal Csm se ne trova traccia proprio nell’inchiesta di Potenza quando il pm Lanfranco Marazia, ascoltato come persona informata sui fatti, racconta agli inquirenti di Potenza di aver trovato a casa di Capristo il faccendiere Filippo Paradiso. Un uomo così vicino al magistrato che è presente anche al funerale della suocera: ed è proprio in quella occasione, alla fine di luglio 2017, che Paradiso racconta a Marazia come nonostante le difficoltà, siano riusciti a far passare la nomina di Argentino a Matera. E infatti il 27 luglio di quell’anno, arriva l’ufficialità della nomina come capo dell’ufficio inquirente. Poche ore dopo l’argomento è discusso anche da Luca Palamara che scrive a Massimo Forciniti via whatsapp:

P: “Mi giungono notizie pessime di Argentino. Abbiamo sbagliato?”

F: “No… lascia stare… non è uno scienziato, ma un lavoratore… non amato dai politici…”

P: “Mi dicono cose turche”

F: “Lascia stare … lo diffama Nicastro che trova lì sostituto, già assessore in Puglia da lui indagato”

Ma non è tutto. Nel periodo della trattativa, l’avvocato Giuseppe Argentino, figlio dell’allora procuratore aggiunto, entra a far parte dello studio Amara a Roma. A questo si aggiunge che a marzo 2017, due società, la “Dagi” e la “Entropia Energy”, di cui Amara è amministratore di fatto, si domiciliano a Martina Franca, in provincia di Taranto: come risulta dagli atti dell’inchiesta di Roma che coinvolse Amara, Giuseppe Argentino è indicato come uno dei consulenti della società. Un vortice di incarichi, ruoli, richieste e legami che diventa sempre più complesso e intricato. Al procuratore Curcio e ai suoi collaboratori, ora, è affidato il compito di sbrogliare questa matassa e riuscire a capire se davvero il sistema Trani era riuscito ad allungare i tentacoli sul caso Ilva.

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