Mentre anche la Germania si unisce al coro di voci internazionali che si oppone all’estensione della legge di Israele alle colonie in Cisgiordania, provocando di fatto un’annessione di quei territori, la Corte Suprema dello Stato ebraico ha annullato come “incostituzionale” la legge del 2017 che avrebbe legalizzato insediamenti ebraici in West Bank costruiti su terra privata palestinese. Una decisione che rappresenta solo l’ultimo colpo inferto ai piani di espansione del ‘primo ministro alternato’, Benjamin Netanyahu, che nei giorni scorsi ha dovuto frenare le proprie ambizioni, annunciando una prima fase di annessioni soft che coinvolgerebbero solo tre insediamenti.

La sentenza: “Legge viola i diritti di proprietà e uguaglianza dei palestinesi”
La Corte Suprema, nelle motivazioni della sentenza arrivata con 8 voti a favore e uno solo contrario, ha spiegato che la legge del 2017, che riguarda circa 4mila abitazioni costruite dai coloni in West Bank, “viola i diritti di proprietà e di uguaglianza dei palestinesi, mentre privilegia gli interessi dei coloni israeliani sui residenti palestinesi”. La legge, puntualizzano, non “fornisce sufficiente rilievo” allo status dei “palestinesi come residenti protetti in un’area sotto occupazione militare”.

Nello specifico, il testo di legge avrebbe dovuto rendere legali le case costruite in insediamenti ebraici su terra privata palestinese erette “in buona fede” o che avevano il sostegno del governo israeliano o i cui proprietari avevano ricevuto il 125% di compensazione finanziaria per la terra. In questi anni, la Corte ha più volte ordinato la demolizione di case costruite in avamposti ebraici su terra privata palestinese.

Gantz: “Rispetteremo la sentenza”. Netanyahu vuole annessioni ridotte
La decisione della Corte ha scatenato le proteste della destra nazionalista, mentre è stata ben accolta dai partiti moderati e di sinistra. L’altro ‘primo ministro alternato’, Benny Gantz, ha comunque dichiarato che “la decisione della Corte sarà applicata” e che il suo partito Blu Bianco “si assicurerà che sia rispettata”. Una fonte vicina a Netanyahu, citata dal quotidiano Haaretz, ha invece commentato dicendo che “con l’applicazione della sovranità si risolverà la maggior parte dei problemi di regolarizzazione”, in riferimento ai progetti di annessione del leader del Likud.

Nella mente di Netanyahu, dicono fonti ufficiali in forma anonima e citate dal Times of Israel, c’è l’idea di arrivare a concludere una prima piccola fase di annessioni, da proporre entro il 1 luglio, rispetto alla più ampia prevista dal piano di pace proposto da Trump, che coinvolgerebbe i tre insediamenti ebraici più grandi e più antichi: Ma’ale Adumim, Gush Etzion e Ariel, escludendo la Valle del Giordano per non alimentare le tensioni con la confinante Giordania che già si è opposta ai piani di Tel Aviv.

Il ministro degli Esteri, Gabi Ashkenazi, esponente di Blu Bianco, nel corso di una conferenza stampa con l’omologo tedesco, Heiko Maas, ha però precisato che “siamo all’inizio delle discussioni, non è stata presa alcuna decisione (sulle annessioni, ndr). Quando sarà presa daremo i dettagli”. Pur dichiarando che per il suo partito il piano di Trump rappresenta “una significativa opportunità” da perseguire in maniera “responsabile”.

Il piano di annessioni ha però provocato dure proteste nel Paese, con migliaia di israeliani, tra cui anche la famosa cantante Noa, che il 6 giugno hanno partecipato a una manifestazione contro l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi nella Piazza Rabin di Tel Aviv. La polizia ha arrestato 12 persone che, secondo la versione ufficiale, avevano “intralciato il traffico”. Fra i fermati anche Tomer Appelbaum, un fotografo di Haaretz che stava riprendendo il comportamento degli agenti.

Germania: “Grave preoccupazione riguardo al piano di annessioni”
Nel corso della conferenza stampa con il ministro israeliano, però, Maas ha manifestato il sentimento di “grave preoccupazione” del governo di Berlino riguardo al piano di annessioni in Cisgiordania. “In quanto amici di Israele, siamo molto preoccupati per l’annessione, che non si concilia con il diritto internazionale – ha detto – Noi continuano a sostenere la soluzione dei due Stati. Occorre una spinta creativa per far rivivere le trattative”.

La Germania è solo l’ultima, a livello internazionale, a manifestare preoccupazione. Tra i primi c’era stato, oltre ai rappresentanti dell’Autorità Nazionale Palestinese e ai Paesi dell’area, come Giordania, Arabia Saudita, Qatar, Turchia e anche la Russia, l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, Josep Borrell, che parlando a nome dell’Ue aveva dichiarato: “Non riconosceremo l’annessione delle colonie”. Parole che avevano provocato la risposta del ministro degli Esteri che parlò di “diplomazia del megafono”.

Mosca, con l’inviato del Cremlino per il Medio Oriente, Mikhail Bogdanov, ha fatto sapere che, a loro parere, il piano israeliano di annessione di aree della Cisgiordania, se attuato, ucciderà la soluzione dei due Stati e rischia di provocare una nuova escalation di violenza nella regione.

Parole simili a quelle pronunciate dal segretario generale dell’Olp, Saeb Erekat: “Benjamin Netanyahu distruggerà l’Autorità nazionale palestinese” in un momento in cui c’è “bisogno di pace”, ha detto al giornale Ynet, aggiungendo che il premier “sta distruggendo il percorso verso la soluzione dei due Stati”.

Premier palestinese: “Con annessioni dichiareremo lo Stato di Palestina”
Il primo ministro palestinese, Mohammed Shtayyeh, non ci sta e ha dichiarato che, in caso di annessione unilaterale, “da istituzione ad interim, l’Anp passerà ad una manifestazione dello Stato sul terreno con un Consiglio di fondazione, una dichiarazione costitutiva. La Palestina si estenderà lungo i confini del 1967 con Gerusalemme capitale. Chiederemo il riconoscimento internazionale, il mondo scelga tra diritto internazionale e annessione”.

“L’annessione – ha aggiunto – è una minaccia esistenziale, una violazione seria degli accordi, la rottura totale del diritto internazionale, una sfida alla stabilità. Significa la distruzione della prospettiva di uno Stato palestinese. Se l’accettassimo saremmo un mucchio di traditori”.

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