Due simboli della comunità afroamericana negli Stati Uniti prendono posizione sul caso di George Floyd e sulle proteste innescate dal suo omicidio provocato da quattro agenti di Minneapolis. Sono l’ex star Nba Michael Jordan, che prima d’ora non si era mai schierato su razzismo e discriminazioni che riguardano gli afroamericani, e il reverendo Jesse Jackson, 78 anni, icona dei diritti civili, che fu compagno di lotta di Martin Luther King.

“Mi sento molto rattristato, ma anche decisamente arrabbiato – ha scritto sui social Jordan, rompendo il silenzio -. Vedo e provo il dolore, l’indignazione e la frustrazione di tutti. Sono dalla parte di coloro che stanno protestando contro il razzismo insensato che c’è nel nostro Paese nei confronti della gente di colore. Ma ora ne abbiamo abbastanza. Io non ho le risposte, ma le nostre voci unite hanno una forza che nessuno può dividere”. Jordan invita ad ascoltarsi “l’un l’altro” a “mostrare compassione ed empatia e mai voltare le spalle alla brutalità insensata. Abbiamo bisogno di dare messaggi di pace contro le ingiustizie. Le nostre voci, tutte insieme – continua Jordan – devono mettere pressione ai nostri leader affinché cambino le leggi oppure dobbiamo usare il nostro voto per creare il cambiamento“. E invita tutti a “essere parte della soluzione ” e a “lavorare insieme per garantire giustizia per tutti. I miei pensieri sono rivolti alla famiglia di George Floyd e a tutti quelli le cui vite sono state brutalmente e insensatamente colpite da atti di razzismo e ingiustizia”.

Jackson: “Stiamo combattendo due guerre” – Alla voce di Jordan si affianca quella di un’altra icona afroamericana. È il reverendo Jesse Jackson che, intervistato dal Corriere della Sera, incoraggia le proteste “ma con disciplina. Stiamo combattendo due guerre allo stesso tempo: una contro il ‘codice del silenzio’ che garantisce l’impunità alla polizia, l’altra contro il Covid-19. Molti nella comunità sono furiosi per questo omicidio, che è una cosa tangibile. Siamo arrabbiati anche perché la pandemia ha colpito in modo esorbitante gli afroamericani ma non possiamo processare il virus”. E ricorda che “anche quando Martin Luther King era vivo ci sono state rivolte e saccheggi. E lui disse a un certo punto: la gente non capisce la non violenza. Perché? È semplice. La violenza è lo stile di vita degli Stati Uniti: dal genocidio dei nativi alla schiavitù degli afroamericani”, osserva Jackson. “La non violenza, che caratterizzava le nostre manifestazioni, è controcultura”. Per Jackson “l’America è ancora una società in cui vige l’apartheid. Le discriminazioni sono continuate”. Il reverendo si augura poi “che Trump non venga rieletto” perché “ha incoraggiato il nazionalismo bianco a marciare negli edifici governativi con gli AK-47. Ma l’assenza di Trump non basta. Bisogna affrontare in modo significativo le diseguaglianze legate alla razza che esistono nell’accesso alla Sanità, all’istruzione, all’occupazione, nel capitale, anziché considerarle naturali, normali”, conclude.

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