Cultura

Lo Scaffale dei libri, la nostra rubrica settimanale: diamo i voti alle epopee familiari di Giovanni Mastrangelo, Giorgio Fontana, Gian Arturo Ferrari

di Davide Turrini

Dopo Giovanni Mastrangelo, anzi dopo I padri e i vinti, non puoi leggere più niente. Una citazione che all’autore potrebbe piacere. Già perché dopo questo suo ultimo romanzo pubblicato da La Nave di Teseo sei talmente sazio di letteratura, in quel senso ampio, fisico-chimico del termine, torrentizio e tumultuoso nelle parole e nella costruzione sintattica (a proposito, Giovanni, quel trattino, con che leggerezza e spregiudicatezza lo usi? Accidenti a te, complimenti), che devi chiudere con la lettura per almeno un paio di giorni. E comunque a chi viene dopo, e capirete anche a chi è capitato, tocca di riflesso la pena dell’aridità compositiva e creativa. Dicevamo di questo suo sesto libro, un’epopea familiare che abbraccia il novecento italiano evocando la Storia in senso lato, quella delle grandi ideologie, grandi passioni, grandi scazzi intepersonali, quella della “politica”. La famiglia Cristaldi viene sfiorata dall’autore/creatore a partire dai primi anni quaranta in quell’intrico spaziale, temporale e geografico tra città (Lodi, Milano, Venezia) e “montagna” (rifugio cognettianamente dell’anima). Padre assicuratore e fascista, figlia partigiana, figlio appassionato di sci (agli albori, ancora con la scaletta sci dopo sci per risalire per ore il costone dei monti). Tanti i libri in mezzo ai discorsi e alle cose e alle azioni. I morti ci sono. Anzi ce ne sono di ammazzati, suicidati, deceduti all’improvviso di morte naturale. Gravidanze non volute. Distanze/vicinanze tra fratelli. Generazioni che si susseguono. Nonni “bastian contrari”. Comunisti fedeli al partito. Scontri di piazza. Espropri proletari. L’eroina killer. Uno squarcio italiano prolungato nel mezzo secolo della ricostruzione, eticamente densissimo, un susseguirsi di palpitazioni, di sorprese narrative, di sensazioni e di ricordi epidermici e olfattivi. Dieci i capitoli, punti di vista in prima e terza persona, sottocapitoli che si inerpicano in stagioni, sezioni di sguardi, battere del tempo, l’instabilità della vita, la trasformazione continua dell’esistenza. Due le citazioni chiave, di un libro che andrebbe citato frase per frase ben oltre la metà della pagine (splendida la descrizione di Alberto che risale e si getta giù per il dirupo con gli sci e quella degli odori della vita da parte di Antonio) per capirne il senso profondo: “ognuno di noi esiste solo e unicamente in relazione agli altri”. E Marco Aurelio: “Considera sovente la rapidità con la quale passano e si dileguano tutte le cose che esistono e nascono”. Giusto un piccolo neo: le ultime dieci-dodici pagine un tantino telefonate dopo tanta sgorgante naturalezza, autenticità, estro. Voto: 8,5

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