“Ancora con ‘sto video delle ‘male parole‘ al guardalinee? Sono passati più di vent’anni, e poi non è che sia sta grande novità: lo facevo sempre, solo che quella volta c’era il microfono”. Poesia. E se quegli insulti al guardalinee in napoletano potrebbero sembrare volgari, da queste parti assumono la consistenza di una melodia soave, di un canto angelico: perché una cosa è certa, se si dovesse scegliere un presidente ad honorem o un patrono per Domeniche Bestiali quello non potrebbe essere altro che Salvatore Sasà Soviero.

Irragionevole, ruspante, a volte maleducato. In una parola: vero. Così è Sasà: proprio come il pallone “pane e salame” decantato in queste righe, che dalle parti di Sasà diventa “pane e puparuoli”. E pur essendo ormai andato l’impeto giovanile è inutile aspettarsi diplomazie da Sasà: dice quello che pensa, non quello che gli fa fare bella figura o quello che può convenire. “Sono così, pure se mi ha sempre portato problemi: calcio e verità non vanno d’accordo ma a me non interessa. Anzi, a vedere quel che succede oggi, specie nelle categorie inferiori, a partire dalla Serie C. Sono orgoglioso di essere così”.

Così, come uno a cui “se si tappa la vena, si tappa”, come uno che ha come foto profilo di Facebook se stesso che prende per il collo, “n’ganna” come si dice dalle sue parti, un certo Luca Toni: “Vabbé ma quella è una foto simpatica…per me, per Toni forse un po’ meno”. Perfetto come simbolo di Domeniche Bestiali, assolutamente inadatto a un calcio fatto di like, cuoricini e dirette: “Nel calcio mi sono rimasti pochissimi amici – racconta Sasà – uno di questi è Cosimo Francioso (attaccante con all’attivo oltre 200 gol tra i professionisti ndr). Qualche mese fa leggevo di qualche nostro ex collega che oggi dai social dà consigli su come fare il capitano… ho fatto gli screen, li ho incollati e li ho mandati a Cosimo per ricordare che questi che ora danno lezioni erano gli stessi che quando arrivavano gli ultras negli spogliatoi se le cose che andavano male si nascondevano in bagno. Di che parliamo?”.

Spogliatoi che erano il regno di Soviero, quasi più della porta: se per molti appassionati Sasà era quello delle parolacce ai guardalinee o delle mazzate agli avversari, per i compagni era un punto di riferimento imprescindibile: “Negli spogliatoi comandano i giocatori, non esiste che sia l’allenatore a gestirlo. Al massimo ci provano circondandosi di loro fedelissimi che gli riportano tutto quello che succede, ma così durano poco. Se ti ritrovi uomini allora sei fortunato. Un allenatore disse che senza di me la squadra avrebbe fatto grandi cose…sono retrocessi già nel girone d’andata”. Fondamentale negli spogliatoi e spesso anche in campo: lo ricordano per le risse, le parolacce, i gestacci, ma era un ottimo portiere e quando chiudeva la porta non c’era verso di bucarlo. Il suo carattere però di porte gliene ha chiuse di più: “Ma non ho rimpianti, non avevo l’educazione per stare in grandi club di A”. E infatti ha solo mezzo campionato di A, con la Reggina, e una vittoria contro la Juve in maglia amaranto nel palmares.

E oggi? Allena, con diverse esperienze in Eccellenza, e l’ultima, breve, in C, ma guardando alla sua maniera, di traverso, quel che è diventato il calcio: “Cosa trasmetto ai giovani? E’ difficile trasmettere calcio a chi non vuole recepire niente e pensa solo ai soldi. Molti sono così. E poi è un calcio che nelle serie minori è terribile: parlano tutti, gente che spende mille lire e pensa di sapere di calcio, gente che pensa solo a mettersi su Facebook, allenatori che stanno lì solo per velleità. Ma d’altronde si sfornano 1000 allenatori all’anno, a che pro? Per mettere sui social ‘Ho preso il tesserino Uefa A’? Ma chi se ne frega?”

La voce delusa e amareggiata di Sasà cambia quando si parla del figlio, Antonio Jacopo Soviero, fresco di esordio in A1 di basket a Reggio Emilia: “E’ forte. E non lo dico da padre. Col fisico che si ritrova penso ‘Ah se fosse stato portiere’, ma va bene così. Se ha preso il mio carattere? In campo è tosto come me invece fuori stento davvero a riconoscermi in lui. Io quell’esuberanza me la portavo anche fuori dal campo, nel privato, lui no, è un ragazzo riflessivo, pacato, buono”. Auguriamo a Jacopo di superare il mito di papà Sasà… mito che però da queste parti ci teniamo stretto, perché come in ogni domenica bestiale che si rispetti e rigorosamente in versione originale “Quann se tappa a’vena, se tappa”.

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