Un sogno che non si avvera né svanisce ma che rimane in ghiaccio, in stand by. Roba mai vista: e dire che Domeniche bestiali di cose strane pure ve ne ha raccontate, tra bandierine usate come armi, scarpette tirate ai tifosi, matrimoni che svaniscono in inseguimenti sulla terra battuta, birre ghiacciate e arbitri congelati…ma sogni in ghiaccio mai, proprio mai. E invece è capitato a Fasano: il sogno era quello di vincere la finale di Coppa Italia dilettanti, ma una finale che non si può giocare non si può neanche vincere.

Un sogno di Fasano ma anche del calcio pane e salame in generale, eccetto naturalmente chi quella coppa col Fasano avrebbe dovuto contendersela e chi per campanilismi e antipatie avrebbe tifato contro. Sì, perché se quando diciamo “Il calcio è dei tifosi” sappiamo di dire una cosa non vera, beh, a Fasano no. A Fasano non è così. A Fasano il calcio è veramente dei tifosi. Due fallimenti in vent’anni e poi azionariato popolare: si sa, una cosa fallimentare nel 99 per cento dei casi. A Fasano no. A Fasano non è così. A Fasano l’azionariato popolare funziona, tanto da creare una squadra forte, in grado di risorgere e arrivare in D, di dar filo da torcere a squadre ben più ricche e blasonate e di arrivare in finale di Coppa Italia dilettanti.

Poi però arriva il coronavirus e il sogno di quella finale che si sarebbe dovuta giocare la settimana scorsa a Firenze (il Primo Aprile…pure ‘ste date però…) si congela: “C’è chi è ottimista e immagina che si giocherà, anche a luglio ma si giocherà – racconta Antonio Latartara, dirigente dell’associazione Il Fasano siamo Noi, quella dell’azionariato popolare – e chi non nutre molte speranze. Però l’entusiasmo resta alto: un tifoso la settimana scorsa, nel giorno della finale, su Facebook ha fatto un post stupendo inventando la cronaca della vittoria della Coppa. Mi sono commosso anche io”.

Certo, con le ucronìe dei trionfi che non ci sono stati ci hanno campato per anni tanti bomber di terza categoria con inventiva direttamente proporzionale alla panza. Ma in questo caso è vero, la pura essenza del calcio pane e salame: l’attaccamento, l’appartenenza. Perché se metabolizzi facilmente che la Champions e la Serie A sono ferme e non è un dramma, quando si tratta del posto in cui sei nato e dove hai vissuto a giocarsi la storia, beh, allora è un’altra cosa: “Noi siamo una squadra portata avanti da 600 soci – racconta Latartara – che non entrano nel merito sportivo, ma sostengono e basta e forse questo ha permesso di andare avanti. Sugli spalti ci vedi a tifare assieme il dirigente e l’ultimo degli operai: è un modello di coesione sociale in pratica. Va da sé che così il tifoso sente ancora più sua la squadra. Faccio un esempio: la nostra era una tifoseria molto calda, da 20mila euro di multa all’anno per uso di fumogeni e ‘calore vario’. Oggi siamo a zero euro di multa perché è chiaro che quando i soldi sono tuoi ci pensi due volte”. (Ci sarebbe da prendere le distanze da questo ravvedimento dei tifosi, essendo noi Domeniche Bestiali, ma soprassediamo per questa volta).

E dunque, una finale da giocare probabilmente con la Caratese, di Carate Brianza, che ha vinto l’andata con la Sanremese. Oggi però in Brianza i problemi sono ben altri rispetto alla finale di Coppa Italia dilettanti: “E quindi più che vincerla ci auguriamo vivamente di giocarla, questa finale, soprattutto per i nostri amici lombardi – dice il presidente dell’associazione Il Fasano siamo noi Ignazio Lovecchio – che stanno vivendo una tragedia. Il nostro è un sogno che al momento è in stand by, congelato: aspettiamo perché non possiamo fare altro”.

E chissà che dal congelatore esca un modello vincente per quando si potrà tornare in campo. Perché da un lato sarà onestamente impensabile vedere una finale così come ci si aspetta, specie se da un lato c’è una tifoseria calda. “Immagino – spiega Latartara – che sia impossibile almeno per un po’ immaginare i cori, gli abbracci, il calore di una curva in una finale, sono realista”; ma non è detto che a prescindere dalla finale il modello Fasano non vinca lo stesso. “Diciamoci la verità – dice il presidente Lovecchio – dopo questa esperienza il calcio a tutti i livelli ne uscirà indebolito economicamente ma il bello è che in queste condizioni ne usciremo più solidi noi con l’azionariato popolare che altri ben più liquidi prima del coronavirus. Potrebbe essere una vittoria ancora più grande”. Dal canto nostro restiamo un gradino o una gradinata più in basso: il nostro sogno è che si torni a giocare, a squalificare, a intonare cori irriverenti, ad alzare coppe vere e a riempirle di vinello paesano.. altro che champagne.

Credits: foto di Riccardo Di Biase

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