Eni ha scelto di pagare una multa da 24,5 milioni di dollari alla Sec, la Consob americana, per chiudere un’indagine che ipotizzava la violazione di una legge sull’anticorruzione (Foreign Corrupt Practices Act). La vicenda riguarda appalti per 8 miliari di euro vinti in Algeria tra il 2007 e il 2009 da Saipem, la società ingegneristica controllata da Eni. Appalti assegnati da Sonatrach, azienda petrolifera di proprietà dello Stato algerino. Secondo la ricostruzione della Sec, per ottenere le commesse Saipem ha pagato circa 198 milioni di dollari a un intermediario, il quale ha ne ha poi girata una parte ad alcuni ufficiali del governo algerino tra cui l’allora ministro dell’Energia, Chakib Khelil.

La Commissione americana, che si occupa di procedimenti civili e non penali, accusava l’azienda di Stato italiana (le cui azioni sono quotate anche a Wall Street) di non aver riportato correttamente nei bilanci la “reale natura delle transazioni effettuate da Saipem nei confronti dell’intermediario”. Bonifici per quasi 200 milioni dollari motivati in bilancio come spese di intermediazione. Ma “l’intermediario”, si legge nel procedimento della Sec, “non ha mai reso alcun servizio legittimo a Saipem”. La decisione di Eni di pagare 24,5 milioni di dollari non significa che la compagnia italiana si sia dichiarata colpevole rispetto alle accuse della Sec. Nel suo annuncio, però, la Security and exchange commission ricorda che “Eni è recidiva, essendo già stata accusata nel 2010 di aver violato le stesse norme” della legge anticorruzione in un’altra vicenda di presunte tangenti pagate in Nigeria dall’allora controllata olandese Snamprogetti Netherlands BV.

La notizia pubblicata dalla Consob statunitense riapre il dibattito sulla sentenza del tribunale di Milano che pochi mesi fa, per la stessa storia, ha assolto Saipem e alcuni suoi manager di punta dell’epoca da accuse varie tra cui quella di aver corrotto membri del governo algerino. A gennaio di quest’anno i giudici della Corte d’appello di Milano hanno infatti modificato la sentenza di primo grado dello stesso tribunale assolvendo tutti gli imputati perché il fatto non sussiste. Nessuna tangente pagata a ufficiali del governo algerino per ottenere appalti nel Paese nordafricano, e dunque restituzione dei 198 milioni di dollari considerati in primo grado frutto del reato. Le motivazioni della sentenza della Corte d’appello di Milano dovrebbero essere depositate in questi giorni. Di certo la decisione della Sec fissa alcuni punti della vicenda, al di là degli esiti penali.

Nel provvedimento su Eni, la Commissione americana scrive che nel 2006, durante alcuni incontri con il management di Saipem, l’allora ministro dell’Energia algerino, Chakib Khelil, descrisse la persona designata di fare da intermediario per conto dell’azienda italiana come “il suo segretario, una persona che lui considerava alla stregua di un figlio”. Dopo queste conversazioni, Saipem e alcune sue controllate stipularono almeno quattro “contratti fittizi con l’intermediario e lo pagarono sulla base di fatture emesse per servizi mai resi”. Consulenze finte per 198 milioni di dollari, di cui Eni e Saipem hanno beneficiato anche fiscalmente. La Sec spiega infatti che le due società hanno dedotto quella spesa dal loro reddito tassabile in Italia.

Il provvedimento permette anche di chiarire meglio il legame tra Saipem ed Eni. Secondo la ricostruzione degli investigatori americani, tra il 2007 e il 2010 Eni ha consolidato il bilancio di Saipem, includendo dunque anche i 198 milioni di dollari di finte consulenze, con relativa deduzione fiscale in Italia. Erano gli anni di Paolo Scaroni a capo dell’Eni, Claudio Descalzi suo vice, Pietro Franco Tali indiscusso leader della Saipem. A partire dal 2008 e fino al 2010, il responsabile finanziario di Eni era Alessandro Bernini, manager che fino a quel momento aveva svolto lo stesso in ruolo in Saipem. Fu proprio Bernini, insieme ad alcuni colleghi, ad adoperarsi per fare arrivare all’intermediario algerino i soldi “aggirando le norme interne sui controlli degli appalti”, e inviando al consiglio di amministrazione di Eni “documenti falsificati e retrodatati”. Il provvedimento non sostiene dunque che i vertici di Eni fossero a conoscenza della vicenda, anzi riconosce la collaborazione offerta dalla società petrolifera italiana nell’inchiesta. Si limita a registrare che Bernini, il manager di Saipem che nel 2007 stava permettendo di pagare 200 milioni di euro in finte consulenze a un intermediario algerino molto vicino all’allora ministro dell’Energia, nel 2008 è stato assunto dalla controllante Eni per svolgere lo stesso ruolo. E contesta alla multinazionale italiana di non aver compilato il bilancio in modo corretto, accusa per la quale Descalzi ha scelto di far pagare alla società 24,5 milioni di dollari negli Stati Uniti.

Nel 2012 il rapporto di lavoro tra Eni e Bernini si è concluso. Dopo due gradi di giudizio, il processo in Italia ha portato all’assoluzione di tutti gli imputati. Oltre ad Eni e all’allora Ceo Scaroni, assolti anche i presunti intermediari algerini, Saipem e i suoi manager tra cui l’ex direttore finanziario Alessandro Bernini. Tutti assolti perché il fatto non sussiste.

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO DA ENI
Eni conferma di aver definito con la Securities and Exchange Commission americana (SEC) un accordo relativo alla chiusura dell’indagine condotta sulle attività algerine di Saipem, società precedentemente controllata e consolidata da Eni, in merito a elementi di natura contabile e di bilancio.
Separatamente, la SEC ha informato Eni che, sulla base delle informazioni attualmente a disposizione della Commissione, ha concluso l’inchiesta sulla società, che include anche le indagini legate all’operazione Opl245 e le altre indagini legate alle attività di Eni in Congo, senza intraprendere azioni o procedimenti. Eni aveva già annunciato il 1 ottobre dello scorso anno che anche il Dipartimento di Giustizia americano aveva chiuso le proprie indagini sulle vicende Algeria e Opl245 senza intraprendere alcuna azione. Eni informa inoltre che la Corte d’appello del Tribunale di Milano ha reso pubblica oggi la motivazione della sentenza di assoluzione, pronunciata lo scorso gennaio, di Saipem ed Eni da ogni accusa di corruzione nell’ambito del procedimento Algeria

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